di maio salvini

Molti commentatori mettono in evidenza come Matteo Salvini abbia saldamente preso il bastone del comando del governo, mettendo in secondo piano i ministri pentastellati e lo stesso Di Maio. Altri parlano di salvinizzazione del M5S. Altri ancora non si capacitano del fatto che i grillini possano accettare le politiche cosiddette di destra del governo.

A mio avviso, queste valutazioni hanno in comune una visione parziale e distorta dello scenario politico, secondo la quale i buoni e ingenui grillini (in fondo “di sinistra”) si sono fatti mettere nel sacco da Salvini e accettano politiche “di destra” che non appartengono loro. Costoro non considerano come l’antipolitica violenta nasca proprio con Grillo, con le sue liste di proscrizione dei giornalisti non allineati, con le sue minacce pubbliche a questo e a quello, coi i suoi la pagherete, con i suoi vaffanculo.

Fin dalla sua nascita il Movimento 5 Stelle ha proposto una cultura politica violenta. Il Movimento 5 Stelle non ha mai proposto una ricetta, neppure la più semplicistica, ha solo demolito, demonizzato, insultato e criminalizzato gli avversari politici, anzi “i politici”, proponendosi come l’alternativa degli onesti, tipica pratica di chi non ha idee e proposte, se non una visione complottista del mondo, moralistica della vita e totalitaria della politica.

Non è così per la Lega che, alla sua nascita, all’epoca di Umberto Bossi, Gianfranco Miglio e Marco Formentini, usava lo slogan "Roma ladrona" per proporre la sua ricetta di uno spinto federalismo. Salvini ha progressivamente ripudiato le radici del suo movimento politico, la Lega Nord, finendo col grillizzarlo. I cinquestelle non si sono salvinizzati, è dunque vero semmai il contrario.

La cultura politica pentastellata sulla quale si è appiattita la Lega, ha un grande appeal sull’elettorato, si è visto. Esso è fatalmente attratto dai due tratti centrali della cultura politica grillina: il complottismo e il ribellismo.

Il complottismo produce il magico effetto di sollevare gli individui (e le comunità) dalle loro responsabilità, attraverso un subliminale, ma preciso messaggio: i tuoi mancati successi non dipendono da te, ma da un nemico che ti aiuto a individuare e ad additare. La cultura politica storica della sinistra, fondata sul nemico di classe, non è certo immune a questa fascinazione. Il ribellismo nasce invece da una commistione di masaniellismo e cheguevarismo, scarica gli individui dalla responsabilità di trovare soluzioni sostenibili ai problemi e propone la “rivoluzione” come unica alternativa possibile al mondo cattivo. Anche in questo caso, le affinità con la cultura politica storica della sinistra sono del tutto evidenti.

Questo spiega le ragioni di natura profondamente culturale per cui i duri e puri di sinistra prima si sono alleati con Salvini e Di Maio in occasione del referendum costituzionale renziano e dopo hanno hanno caldeggiato l’ipotesi di un governo coi cinquestelle. Di fronte a questa valanga apparentemente inarrestabile di consenso, non basta, anzi non serve proprio, spiegare quanto è brutta e poco condivisibile la valanga, occorre imboschire il terreno. Ciò, fuor di metafora, significa dare vita a una cultura politica davvero alternativa a quella pentaleghista e a un nuovo movimento politico (oltre lo schema destra/sinistra) che se ne faccia portatore.

Certo, tutto ciò richiede tempo. Che fare in attesa che gli alberi crescano e altre valanghe siano prevenute? Credo che basti attendere con un po’ di pazienza. Sono infatti convinto che il principale nemico della cultura politica pentaleghista sia l’atteggiamento che essa stessa genera negli individui e quindi anche negli stessi elettori che oggi la sostengono: non appena la pancia degli italiani suggerirà loro che i disagi di cui soffrono non si sono attenuati ed anzi si sono acuiti, lo spirito ribellista dei Masaniello e dei rivoluzionari nostrani prenderà il sopravvento.

Così, la brava gente italica, mettendosi le mani in tasca e trovandovi meno denaro di prima, potrà facilmente disfarsi dei pochi soldi di cui disporrà, dando sfogo alla tipica pratica di folklore locale del lancio delle monetine contro il colpevole di turno che, in questo caso, sarà anche reo di tradimento. Siamo nel paese di Piazzale Loreto. In fondo siamo un popolo prevedibilmente imprevedibile. Davvero ciascun italiano è uno, nessuno, centomila. Così è se vi pare.