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L’Huffington Post è venuto l'altroieri in possesso di una bozza dell’accordo - datata 14 Maggio, il giorno delle consultazioni al Quirinale – fra i due contraenti del contratto di Governo, Salvini e Di Maio, in rappresentanza dei loro rispettivi partiti. Il programma economico è vasto, sebbene poco dettagliato e pressoché privo di numeri, fatto che rende difficile valutare la plausibilità delle proposte, in particolare in tema di impatto sui conti pubblici.

È utile ricordare che i governi precedenti, in nome del popolo italiano, avevano assunto con i partner europei degli impegni precisi per rispettare una marcia di rientro dell’enorme debito pubblico, che ammonta a circa il 130% del prodotto interno lordo. Le elezioni hanno di certo spostato gli equilibri, ed è legittimo che il nuovo Governo si presenti con una piattaforma politica anche molto critica, al limite dello scontro frontale con le Istituzioni Europee. Va però ribadito che a ogni azione segue una reazione. Si può certo pensare che una prova di forza con i partner europei sia ciò che il popolo italiano vuole. Oltre al popolo italiano, infatti, esistono quello tedesco, francese, estone, spagnolo, olandese... È perciò legittimo che da parte loro si rammenti che i trattati europei non possono essere considerati carta straccia dalla sera alla mattina, soprattutto quando sono rinforzati da norme costituzionali italiane, come nel caso del pareggio di bilancio.

Anche se si ritenesse che i trattati europei che regolano in modo particolare la Zona Euro vadano stracciati e ridiscussi, bisognerebbe ricordarsi che il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale hanno il potere in prima e ultima istanza di rinviare o cassare leggi di spesa incostituzionali, come è spesso accaduto nella storia passata e recente. Bene ha fatto Mattarella a ricordare l’uso delle prerogative presidenziali del Presidente Einaudi. È un monito a chi sta “riscrivendo la storia”, dimenticandosi che la Costituzione non si può riscrivere se non nei modi espressi nella Costituzione stessa.

Questa pedante introduzione è propedeutica e necessaria per condurre una breve disamina della parte di contratto forse più controversa e sensibile, sia da un punto di vista interno che per le Istituzioni Europee. È la parte sul piano di rientro dal debito pubblico. I contraenti si sono impegnati in un ambizioso piano di riduzione del debito, che ammonta a quanto riportato, alla stratosferica cifra di 30 punti di PIL. È utile ricordare la famosa storiella sul professore che sta camminando per la strada con uno studente laureato. Lo studente vede una banconota da 100 dollari a terra e si china per prenderla. "Non preoccuparti di cercare di raccoglierlo" dice il professore. "Se fosse davvero un biglietto da 100 dollari, non ci sarebbe". Applicato al caso in specie: se un piano salvifico e quasi miracoloso non è stato applicato sino ad ora, lo studente cerchi di dubitare sulla sua attuabilità, al netto della fortuna o della perseveranza di chi sta cercando di “riscrivere la storia”. Ma vediamo più in dettaglio il piano, articolato in diversi punti.

Il primo punto prevede un che l’effetto espansivo dalle politiche keynesiane del nuovo governo dovrebbe ridurre il rapporto debito/PIL di 5 punti percentuali di PIL. Senza voler entrare nell’eterna diatriba sulla stima di questi famosi moltiplicatori, se mai siano maggiori di uno, in quali circostanze, se siano soggetti a vincoli di bilancio stringenti che impediscano il dispiegarsi degli effetti moltiplicativi, diamo per buone alcune stime solitamente usate nella letteratura economica “keynesiana”. Ora, la matematica purtroppo, anche quando applicata all’economia, non è un’opinione.

Poiché il testo non riporta alcun arco temporale, proviamo a ragionare in modo analitico. Normalizziamo il rapporto debito pubblico/PIL a 1. Il debito è uguale al PIL, pari a 100 euro. Supponiamo che il moltiplicatore sia pari a 1.3, un valore “realistico”, secondo la letteratura economica keynesiana. Se volessimo ridurre di 5 punti il rapporto portandolo da 1 a 0.95, servirebbero ben 16 anni di spese aggiuntive annuali pari a un euro, ovvero 1 punto percentuale di PIL. Tre legislature. Con un moltiplicatore pari a 1.5, abbastanza elevato, simile a quello riportato dai consiglieri di Obama per giustificare il famoso “stimolo fiscale”, ne servirebbero 10. 10 anni di spese aggiuntive annuali in deficit pari a 1 punto percentuale di PIL. Due legislature. Evidentemente i contraenti sono già certi che l’alleanza sarà stabile e duratura.

In ogni caso, visto in ottica economica, sarebbe una diminuzione non considerevole in un arco di tempo considerevole, con deficit aggiuntivi “gestibili”. Oppure, se si volesse ottenere lo stesso effetto in un solo anno, con il moltiplicatore più benevolo, bisognerebbe spendere 12 euro aggiuntivi in deficit (ovvero 12 punti percentuali di PIL) per ottenere 18 euro di PIL aggiuntivo. Questo conto aiuta a chiarire gli effetti cumulati nel tempo, sul deficit e sul prodotto. Fatichiamo a credere che i mercati siano propensi a prestare allo Stato italiano una tale somma in un sol colpo. Ma mai disperare quando alcuni stanno “riscrivendo la storia”.

Il secondo punto prevede la tanto discussa cancellazione dei titoli di debito detenuti dall’Euro Sistema, più propriamente dalla Banca d’Italia, dopo l’inizio del piano di Quantitative Easing. Il loro ammontare è di circa 350 miliardi di euro. Per i contraenti, la mera cancellazione contabile dal bilancio della Banca d’Italia comporterebbe la cancellazione di 10 punti percentuali di debito. A prendere per oro colato i numeri, questo significherebbe che dei 350 miliardi “solo” di 170 miliardi circa si chiederebbe la cancellazione. Chissà per quale motivo i restanti dovrebbero invece continuare a essere detenuti dall’Euro Sistema. Dimenticanza, piano arcano, poca dimestichezza coi numeri? Mistero.

Il rogo del debito, a nostra memoria, è qualcosa che non si vedeva dai tempi fascisti, quando il Duce bruciò titoli di debito al Vittoriano nel 1928. Senza voler entrare in paragoni azzardati, basta osservare come alla base di tale proposta vi sia una sorta di rivisitazione della Modern Money Theory, una sorta di disciplina voodoo applicata all’economia, e scambiata sempre più spesso come teoria economica. Poiché il debito pubblico è sia credito (per chi lo detiene) che debito (per l’emittente), nel caso in cui le due figure coincidano non ci sarebbe alcun effetto economico, a seguito della sua cancellazione. Interessante baggianata, che come tale va trattata, senza perdere troppo tempo nel confutarla. Sarebbe una monetizzazione del debito di importi rilevanti, oltre a scontrarsi con il corpo giuridico esistente. Se la via scelta è quella Argentina, nessuno di certo avrebbe da ridire, tanto meno Draghi o la BCE.

Il terzo punto prevede una cartolarizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato, di Tremontiana memoria, pari a altri 10 punti percentuali del PIL. Bello notare, tra l’altro, come l’unità di misura siano i multipli di 5, sarà la cabala sovranista?. La variante questa volta sarebbe quella di voler piazzare i titoli direttamente nei portafogli dei clienti retail, e solo come opzione residuale in quelli degli investitori istituzionali. Un’immensa Banca Etruria e Popolare di Vicenza, che vende titoli rischiosi, di dubbia redditività, al popolino, che sarebbe così chiamato, come scritto nel contratto, allo sforzo di “veicolare il risparmio italiano a sostegno del debito”. Insomma, una buona mossa a metà fra il sovranismo nazionalista e l’economia pianificata dell’URSS.

L’ultimo punto, pari manco a dirlo a 5 punti percentuali di PIL di riduzione del debito, prevedrebbe un’enorme partita di giro fra Cassa Depositi e Prestiti e lo Stato. Quest’ultimo cederebbe alla CDP tutto il patrimonio industriale, in cambio di cash o titoli BTP scambiati alla pari, per una cifra pari a 70 miliardi, raccolti tramite obbligazioni della CDP. Il cash o i BTP in mano allo Stato sarebbero usati per ridurre lo stock di debito pubblico. Il testo fa notare come questa operazione sarebbe simile a quanto fatto dalla corrispettiva tedesca, e quindi non comporterebbe alcun problema di contabilizzazione, dovuto a interpretazioni restrittive del perimetro pubblico.

Purtroppo il diavolo non solo a volte si nasconde nei dettagli, ma più spesso è un vero enorme Lucifero visibile a occhio nudo. Un’operazione di tale portata difficilmente passerebbe il vaglio di Eurostat, che già in passato è stata solerte a chiedere informazioni più dettagliate sul consolidamento dei conti di entità come CDP. Si legge infatti nell’ultima relazione della visita ufficiale in Italia dei tecnici Eurostat: “In relazione al secondo punto d'azione in sospeso della precedente visita di dialogo, Eurostat ha chiesto informazioni sulle possibili operazioni della Cassa Depositi e Prestiti (CDP) che potrebbero avere le caratteristiche di essere state intraprese per conto del governo”. In quel caso, infatti difficilmente si potrebbe contabilizzare il nuovo debito emesso dalla CDP come fuori dal perimetro statale.

Insomma, una enorme partita di giro, senza effetti pratici per la diminuzione dello stock di debito. Per di più, come si legge nel contratto, questa operazione permetterebbe a CDP di avere più leva finanziaria di ora, quasi fosse un bene aumentare i debiti per stornare debito pubblico, con tutti i rischi di tenuta di CDP stessa. Non sappiamo se i nonni e le nonne, che scrupolosamente allocano il loro risparmio in posta, sarebbero felici di dover sopportare rischi di default di chi di fatto gestisce parte del loro patrimonio. Anche qui, un’enorme opera di pianificazione centrale di mis-selling, allocazione di credito a danni altrui, da parte del Governo, novella banca di provincia che scarica sulla clientela i propri rischi.

I contraenti del contratto di Governo si sono affrettati a smentire che la versione della bozza sia quella finale. La parte sull’uscita dall’Euro sarebbe “superata”. Non è chiaro quale parte, e soprattutto pare che le operazioni sghembe di rientro del debito pubblico non siano state smentite. Organi di informazione, finanziari o meno, che abbiano a cuore la trasparenza avrebbero il dovere di chiedere più dettagli e chiarimenti. A chi invece tocca dare un giudizio di merito su quanto sin qui è trapelato non resta che incredulità e rassegnazione. Il pensiero magico è sempre più il demone-feticcio più della politica italiana.