savona

Comunque finisca la vicenda, di queste ore di scontro sul cosiddetto “Caso Savona” tra il Quirinale e la coalizione pentaleghista resteranno alcune sorprendenti prese di posizione di parte della cosiddetta intellighenzia che si considera “di sinistra”. E non mi riferisco a chi legittimamente pensa che il Professore, visto il suo curriculum, possa ben svolgere il ruolo che gli verrà affidato.

Queste persone hanno le loro ragioni. Sono esattamente le ragioni che Lega e Cinquestelle hanno sempre usato contro l’establishment e le élite, ma non è di coerenza che questo articolo si occupa. Saranno eventualmente gli elettori della nuova maggioranza a dover fare i conti con l’appartenenza del loro nuovo beniamino a tutto quello contro il quale hanno combattuto; chi scrive invece non può che sentirsi rassicurato dal fatto che almeno qualche ministro sappia leggere un bilancio.

Quindi non è questa argomentazione che sorprende. Mi riferisco invece a chi fa un ragionamento che suona più o meno così: avere a Via XX Settembre una persona che - come ha ben ricostruito Huffington Post - è l’ispiratore del piano per accompagnare l’Italia al default, è giusto perché chi ha vinto le elezioni su quel programma deve poterlo mettere in pratica. Piano B che scatterebbe “solo” se fallisse quanto precisato oggi dallo stesso Savona (Europa sì, ma non così: vi ricorda qualcosa?).

Se scelgono di schierarsi contro il Quirinale e la Costituzione devono essere davvero motivati, visto che questi signori (di sinistra a loro dire) erano gli stessi che per difendere “la Costituzione più bella del mondo” non hanno esitato a creare le basi per la crisi più profonda della sinistra di governo nel nostro paese, contribuendo all’esito referendario del 4 dicembre. Non hanno battuto ciglio quando Scalfaro mise il veto su Previti alla Giustizia, oppure Ciampi su Maroni e Napolitano su Gratteri, sempre per il dicastero di Via Arenula. Berlusconi (due volte) e Renzi abbozzarono, consapevoli che lo scontro con il Quirinale su una sua prerogativa costituzionale avrebbe messo a rischio la tenuta democratica del Paese. Salvini e Di Maio non esitano invece ad andare oltre. Evidentemente Renzi e Berlusconi hanno dimostrato più senso dello Stato...

A parere di chi scrive invece l’argomento usato è solo apparentemente di buon senso. Si dice che in democrazia se chi ha preso i voti su un programma vince le elezioni poi deve poter portare avanti il suo programma. Quindi se Lega e Cinquestelle indicano Savona per gestire la loro idea di voler uscire dall’Euro devono essere messi in grado di poterlo fare. Questo argomento è però fallace per una serie di motivi, che provo a riassumere.

1. È profondamente offensivo verso una persona con la sua storia e il suo stile personali, per non parlare della provata fedeltà repubblicana, insinuare che Mattarella possa farsi dettare la linea dalla Merkel o mettere il veto su un ministro perché non ne condivide le idee. Oltre ad essere palesemente contraddetto dai fatti: o lorsignori pensano forse che Mattarella sia d’accordo con la linea di Salvini che vuole usare (metaforiche?) ruspe sui migranti?

2. Se i Padri Costituenti avessero inteso dare questa “libertà assoluta” a chi vince le elezioni non avrebbero scritto la Costituzione (sempre la più bella del mondo, ricordiamolo) come l’hanno scritta, dando il potere di nomina al Presidente della Repubblica e non al Presidente del Consiglio.

3. Ma soprattutto, manca il presupposto: Lega e Cinquestelle hanno vinto le elezioni dicendo sull’Euro esattamente l’opposto delle tesi di Savona, ovvero che non volevano (più) uscire dall’Euro. Paradossalmente Mattarella sta cercando di tutelare proprio il mandato che quelle forze politiche hanno ricevuto.

Infine queste stesse persone aggiungono anche un argomento più terra terra, che immagino venga giustapposto per aprirsi un varco di consenso tra chi non ha votato Lega o Cinquestelle: se si votasse domani a causa della rottura su Savona, queste due forze guadagnerebbero consensi. È probabile, ma, vista la posta in gioco, è un argomento da respingere. In gioco non c’è una persona, ma la tenuta di uno dei capisaldi della seconda parte della Costituzione (il Titolo III, prima sezione). Di questo parliamo, ecco perché non possono essere ragionamenti utilitaristici e di tornaconto elettorale a farci tollerare una modifica de facto della Carta fondamentale.

Viviamo un tempo in cui accadono cose solo poco tempo fa inimmaginabili: un ex parlamentare che minaccia il Presidente della Repubblica chiamandolo “avvocato delle cause perse”, un signore che - proprio grazie al fatto che è il padre di quello stesso Onorevole - può vedere con grande risalto sui media i propri deliri su assalti al Quirinale, paragonato alla Bastiglia. In tempi così almeno le persone ragionevoli dovrebbero mettersi una mano sulla coscienza e mettere la difesa della Repubblica davanti a tutto, senza indulgere in bizantinismi. La crisi delle istituzioni dentro la quale ci troviamo non lo dovrebbe consentire. Diversamente, spero per loro che domani non abbiano a pentirsene.