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 Pure un’impresa fondata sull’uso scientifico dell’irrazionalità politica ha protagonisti politicamente razionali e razionalmente legati a una contabilità di costi e benefici che può essere giusta o sbagliata, ma non è mai “eroica” o disinteressata. Di Maio e Salvini – e soprattutto Salvini, che certo sopravvivrà a questo passaggio; Di Maio chissà… – sapevano che a formare un nuovo esecutivo non avrebbero guadagnato tanto quanto nel non riuscirci per un vincolo esterno domestico (diciamo il Quirinale), frapposto alla loro dichiarata e apparente determinazione.

Se anche ci fossero riusciti, permettendosi tutto e senza trovare ostacoli sul più alto colle della Capitale, avrebbero guadagnato abbastanza (diciamo a sufficienza per continuare a comandare sulla politica italiana, senza vere responsabilità di governo) se si fossero dovuti arrestare davanti a un superiore ed extradomestico vincolo esterno (diciamo la Commissione o il Consiglio Ue, oppure direttamente la BCE), per sormontare il quale avrebbero dovuto chiamare nuovamente in soccorso il popolo e rinviare il momento del redde rationem del fantastico “Programma per il Governo del Cambiamento”, promesso in premio all’elettorato confidente nell’agognato miracolo.

Il vecchio Prof. Savona, mai candidato e mai eletto a nulla, mai neppure citato dai dioscuri del Cambiamento fino al tramonto della meteora di Giulio Sapelli, è stato disseppellito da un anonimato malmostoso qualche giorno fa esattamente a questo fine. Se non fosse servito a rompere al Quirinale, sarebbe certamente servito a infrangere il sogno del Cambiamento a Bruxelles o a Francoforte e a essere portato in processione come santo martire crocifisso dalle élite politiche e finanziarie dell’Ue. La condotta disponibile e addirittura corriva di Mattarella fino a qualche giorno fa – incarico a Conte incluso – aveva forse convinto Matteo e Giggino di avere già sbancato in patria e di potersi preparare alla campagna straniera con buona lena e pieno successo di pubblico e di critica tra gli osservatori e i fiancheggiatori del nuovo esecutivo barbarico.

Invece il Capo dello Stato ha rotto il gioco, in modo apparentemente scontato, ma paradossalmente imprevedibile. Aveva accettato tutto – compreso un processo di formazione del Governo e della maggioranza del tutto extra-quirinalizio –  e di colpo non accetta un vecchio professore europeista, che la disinibizione senile aveva portato a elucubrare di “piani B” di euro-uscita come strumenti di negoziato per “piani A” di più comoda euro-permanenza e a lodare, come un comunista degli anni ’50, l’inclinazione pacifista della grande Russia putiniana?

Perché Mattarella si è impuntato sulle parole e sulle paturnie di un esponente delle èlite eletto – forse senza neppure volerlo – a rappresentante del popolo per legittimità delegata, dopo avere assecondato i titolari legittimi della rappresentanza in ogni mattana, compreso un programma di governo che pone a copertura di un complesso faraonico di maggiori spese e di minori entrate lo sforamento, ancora da negoziare, dei saldi di bilancio previsti dai trattati europei?

La risposta che preferiamo (e che per rispetto certo non gli intestiamo) è questa: perché Mattarella sa che la politica è anche chiacchiera e merda, ma non può essere solo chiacchiera e merda. Tra la chiacchiera e la merda, tra il mestiere del consenso e quello del potere deve trovare spazio un senso della realtà, che a volte sfugge ai campioni del consenso (i partiti) e pure ai “clienti” del potere (gli elettori), entrambi presi dai propri deliri, ma non dovrebbe sfuggire ai titolari delle istituzioni e delle magistrature repubblicane. Il discorso di Mattarella, che sembrava accigliato più per il dovere delle telecamere che per l’imbarazzo della decisione, ieri sera è stato esemplare. La traduzione dal quirinalese è più o meno la seguente:

“Fate quello che volete, ma una guerra all’Europa dall’esito segnato, la svalutazione dei redditi e dei patrimoni degli italiani, finché io sono qui e sono vivo, ve la potete scordare. Perché io ho gli strumenti e il dovere di rispettare e far rispettare un quadro costituzionale che oggi poggia esattamente su quest’esigenza di tutela, che non riguarda solo il bilancio pubblico, ma quello di tutte le famiglie, e che la Costituzione, prima che la coscienza, mi impongono di garantire.

Non vi è consentito, finché non cambierete la Costituzione, e – in modo non illegale, cioè unilaterale – gli accordi costituzionali dell’eurozona, di investire tutto sul “gratta e vinci” del sovranismo monetario e dell’irresponsabilità fiscale, anche se non il 60, ma il 100% degli elettori ve lo chiedesse. Quindi, il canuto kamikaze che esigete di mandare a Bruxelles e a Francoforte a farsi esplodere in nome della patria, rimane a Roma a scrivere libri patriottici.

So perfettamente di non dovere avversare l’indirizzo elettorale della maggioranza, ma so altrettanto bene che la democrazia è un regime di governo costituzionale in cui il primato della legge impone dei limiti, superabili solo con procedure definite e costituzionalmente legittime, anche all’esercizio del potere esecutivo e di quello legislativo. Quindi regolatevi: avete vinto le elezioni, non lo Stato, che in ogni caso non siete voi.

Pure la mia figura e la mia carica – non dico la mia persona – dipendono da norme costituzionali revocabili, ma non superabili di fatto, né con appelli demagogici alla volontà del popolo. Il mio potere di approvare o no le indicazioni dei ministri del presidente incaricato è tanto costituzionalmente pacifico da avere registrato, nei molti precedenti, qualche mal di pancia di fronte ai dinieghi, ma nessuno scandalo per la loro legittimità.

Sono abbastanza vecchio e democristiano da sapere che ci sono cose che è meglio che faccia finta di non vedere e di non sentire, ma ce ne sono altre per cui vale l’esatto contrario. Le vedo e le sento anche se non me le volete fare vedere e sentire. Quindi regolatevi. E se volete farmi fare la figura dell’utile idiota delle euroburocrazie sappiate che al popolo, se voglio, posso parlare anch’io e provare a spiegare qual è la posta in gioco. Non è detto che io vinca – anzi oggi è improbabile – ma il campo libero non ve lo lascio. Alla paura e alla speranza degli italiani, non parlerete da soli”.

Alla fine la chiamata di Cottarelli ha chiuso il cerchio di una giornata che certo non risolve e più probabilmente acuisce, ma sicuramente riporta la tensione drammatica della politica italiana con i piedi per terra. Oggi, si riparte di qui: per dove è presto da dire.

@carmelopalma