In un'elezione dominata dai temi economico-sociali e dal voto euroscettico, l'esigenza di sicurezza e di protezione da una possibile minaccia russa ha portato gli elettori est-europei a un voto più europeista, ma senza mobilitazioni (l'astensionismo è stato altissimo), né entusiasmi.

Le elezioni europee si sono tenute all'ombra delle tensioni crescenti fra Russia e Unione Europea. Sono passati solo due mesi dalle sanzioni imposte alla Russia, per la prima volta dalla fine della Guerra Fredda, e l'annunciata firma del trattato di associazione con l'Ucraina alimenta ulteriormente i contrasti fra Mosca e Bruxelles. Questa tensione ha giocato un ruolo nella tornata elettorale dello scorso 22-25 maggio?

Mosca è tornata a esercitare forti pressioni sugli stati dell'Europa orientale influenzando così un voto tendenzialmente "europeista", cioè orientato a preservare l'indipendenza all'interno dell'Unione, in risposta alla minaccia esterna. Tuttavia, il dinamismo di Mosca in politica estera sembra aver giocato un ruolo solo marginale nel dibattito pubblico dei paesi dell'Europa orientale, anche se tale fattore potrebbe aver contribuito a smorzare l'ondata euroscettica che ha dominato la scena in Francia e Gran Bretagna.

Queste elezioni europee erano state caricate di grandi attese, ma la pace e la sicurezza dalle minacce convenzionali non sono stati i temi che hanno dettato l'agenda politica. A dominare è stato il confronto tra i candidati alla Presidenza della Commissione relativo, per lo più, ai temi economici e istituzionali e al futuro "interno" dell'Unione. I gruppi euroscettici e antieuropei hanno utilizzato questo palcoscenico per denunciare l'inadeguatezza della politica dell'Ue di fronte alla crisi dell'Eurozona dal 2010 a oggi, e la loro istituzionalizzazione, anche se destabilizzante per alcuni assetti consolidati, potrebbe rappresentare uno stimolo importante per il futuro dell'integrazione.

Benché non direttamente presente nel dibattito pubblico, la minaccia esterna avrebbe potuto influire in due modi sul voto dei cittadini est-europei. Il primo, portando più elettori ai seggi, a dimostrazione di un rinnovato interesse per il futuro dell'Unione. Il secondo, imprimendo una spinta alle forze europeiste a discapito dei partiti più euroscettici, visto che un'Unione più forte e unita è, almeno teoricamente, in grado di fornire garanzie più difficili da assicurare se gli stati membri si muovono in ordine sparso, come dimostrato dalla vicenda dell'Ucraina.

Mentre l'affluenza non ha subito particolari sbalzi rispetto al 2009, le forze antieuropeiste a est non hanno guadagnato forza rispetto al 2009 a differenza di altri paesi dell'Europa occidentale, come Francia e Regno Unito, dove i partiti euroscettici e antieuropei sono diventati dominanti nel quadro politico domestico. L'affluenza non ha subito particolari contraccolpi.

Nel paese forse più attivo sul capitolo russo a Bruxelles, la Polonia, l'affluenza si è fermata attorno al 23%, di due punti inferiore a quella del 2009. Stessa sorte per l'Estonia, notoriamente attenta alla politica estera della Russia, la quale ha visto un calo di 8 punti percentuali di affluenza rispetto al 2009. Affluenza a picco invece per Repubblica Ceca e Slovacchia, dove hanno votato rispettivamente il 19,5% ed il 13% degli aventi diritto. Un leggero calo si è registrato in tutti gli altri paesi dell'Europa orientale ad eccezione della Lituania, dove quasi il 45% degli elettori si sono recati alle urne contro il 21% del 2009.

I partiti euroscettici non hanno riscosso un grande successo rispetto alle elezioni del 2009, e questo potrebbe essere in parte giustificato dal timore dell'elettorato che un'Europa più debole lascerebbe gli stati "post-sovietici" maggiormente esposti alle influenze e alle minacce del Cremlino, anche alla luce del chiaro sostegno che i partiti europei di estrema destra hanno dato a Putin nella gestione della crisi in Crimea.

Invece, a est i partiti di estrema destra non hanno affatto sfondato nella tornata elettorale del 22/25 maggio. Il caso spesso riportato, quello dell'Ungheria, conferma questa tesi. Se è vero che il partito nazionalista Jobbik ha conquistato quasi il 15% dei voti e tre seggi al Parlamento Europeo, è anche vero che questa percentuale registra un leggero calo rispetto al 2009. I "nazisti" in Ungheria erano già forti prima della crisi europea e avrebbero potuto riscuotere un grande consenso in conseguenza delle difficoltà economiche di questi anni, ma l'affluenza è calata e l'estrema destra non ha sfondato. Stessa sorte in Lituania, dove il partito Libertà e Giustizia (TT) ha riscosso un consenso simile a quello del 2009 attorno al 12-14% ed in Lettonia, dove l'affluenza è crollata dal 53 al 30% e Alleanza Nazionale ha conquistato il 14% dei voti, equivalenti ad un solo seggio a Bruxelles, come nel 2009.

Il caso forse più interessante è quello polacco, dove il Partito Popolare Europeo condivide ora il primato di seggi con il Gruppo dei Conservatori e dei Riformisti Europei (19) grazie al voto del 33% di elettori che ha votato per Legge e Giustizia (PiS).

@FraGiumelli