A cent'anni esatti dall'inizio del primo conflitto mondiale, la guerra si avvicina di nuovo ai confini europei. La catastrofe umanitaria in Siria è fuori controllo da anni, la Russia porta avanti una politica aggressiva di espansione, in Ucraina e non solo, la Libia brucia. Questo è il momento, per l'Unione Europea, di fare qualcosa di più che stare a guardare. È quanto mai urgente, oggi, costruire un esercito europeo che sia qualcosa di diverso dalla semplice somma degli eserciti nazionali, da impiegare per portare avanti una vera politica estera e militare comune.

Nave Mistral


L'inesistenza strategica dell'Europa, tragedia in quattro atti

Atto 1. Nell'aprile 2008, al vertice Nato di Bucarest, la Francia e la Germania si oppongono all'integrazione della Georgia nell'alleanza atlantica. Qualche mese più tardi l'esercito russo entra in Ossezia del Sud e marcia verso Tbilisi, la capitale georgiana. Tuttavia all'improvviso l'offensiva si ferma. Grazie alla mediazione (tardiva secondo alcuni osservatori) di Nicolas Sarkozy, presidente in esercizio dell'Unione europea, oppure in ragione di un precedente intervento diplomatico americano? Questo punto non è mai stato chiarito del tutto. Resta il fatto che, pur riconoscendo le "indipendenze" dell'Ossezia del Sud e dell'Abkhazia, le autorità russe hanno proceduto a un'integrazione-annessione di questi due territori sotto mentite spoglie. Qualche tempo dopo, nel 2011, malgrado fosse stato messo in guardia da più parti(1), il Presidente Sarkozy decide la vendita di due navi di proiezione e comando di tipo Mistral alla Russia.

Atto 2. Nel 2011, l'intervento armato in Libia mette in evidenza le debolezze degli eserciti britannico e francese, che si dimostrano completamente dipendenti dalla Nato, soprattutto per l'intelligence e per l'approvvigionamento in munizioni, mentre i tristi sviluppi della situazione politica successivi all'operazione mostrano i limiti di un intervento "senza truppe di terra", che non permette di accompagnare la ricostruzione politico-istituzionale del Paese.

Atto 3. La catastrofe della Siria. 170.000 morti, oltre 2 milioni di sfollati, migliaia di combattenti fuori da ogni controllo. Una situazione che ha molto a che fare con il sostegno incondizionato al regime di Assad della Russia e dell'Iran, ma anche con la politica di non-intervento degli Stati Uniti e dell'Unione Europea; questi ultimi, infatti, hanno preferito mettere davanti a qualunque considerazione militare o umanitaria la conclusione di un accordo sul nucleare con l'Iran. Accordo di cui, peraltro, mal si capisce (soprattutto a fortiori, dopo la violazione da parte della Russia del Memorandum di Budapest sul disarmo nucleare dell'Ucraina e il potenziamento dell'alleanza tra la Russia e l'Iran) come potrebbe mai essere concluso o rispettato.

Atto 4. Con l'invasione e l'annessione della Crimea e l'opera di destabilizzazione su grande scala lanciata dalla Russia nell'Ucraina orientale, il registro cambia. Non solo, come cittadini europei, siamo costretti ad assistere praticamente impotenti al ritorno all'accaparramento con la forza di territori di uno stato da parte di un altro (per di più membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell'ONU), ma dobbiamo anche essere testimoni dell'affermazione, sotto gli occhi di tutti, di un nuovo progetto statuale radicalmente anti-democratico, di cui l'Europa sembra non comprendere l'enorme portata in termini di minacce per i Russi e per la sicurezza degli Europei stessi.

Sei lunghi mesi e la tragedia del volo MH17 sono stati necessari perché, finalmente, la leadership europea cominciasse a percepire la realtà strategica della minaccia rappresentata dal regime russo e dalla sua politica in Ucraina, e perché venissero decise sanzioni economiche un po' più serie (ancorché insufficienti) nei confronti della Russia. In materia di politica europea dell'energia, le grandi decisioni che dovevano essere prese dal Consiglio europeo del giugno scorso ancora si fanno aspettare. Per quanto riguarda la sicurezza e la difesa presente e futura dell'Unione, la riflessione e le proposte (senza parlare delle decisioni) rimangono nel registro dell'invocazione (nei confronti degli Americani) o del vago incantesimo. François Hollande dichiara: "La Francia ha tutte le ragioni di auspicare una Germania più presente sulla scena mondiale. Non abbiamo vocazione ad agire da soli. Sono favorevole a una condivisione della responsabilità, sul piano politico, militare e di bilancio" (2).

Difesa europea comune? Hic Rhodus, hic salta

Se tale è la convinzione profonda del presidente francese, allora tocca alla Francia fare una proposta concreta. Essenzialmente per due ragioni: il peso del passato della Germania e, soprattutto, l'eredità delle offerte tradite. La sicurezza e la difesa rinviano in effetti direttamente alla questione dell'integrazione politica europea, tematica rispetto alla quale, come ricorda Bernard Barthalay, presidente della rete Puissance Europe / Weltmacht Europa, Parigi ha rappresentato, con una costanza notevole, il principale ostacolo a qualsiasi approfondimento politico: "Il rifiuto (1954) della Comunità di difesa, che ha sepolto il progetto di Comunità politica, il rifiuto gaullista (1965) di un bilancio "federale", il disprezzo nel quale fu tenuto il documento Schäuble-Lamers (1994), le reticenze della pariglia Chirac-Jospin contraria alla proposta di "federazione" di Fischer (2000) (...)".(3)

Affinché la Germania possa rispondere affermativamente, una proposta in questo ambito non può quindi che indirizzarsi all'insieme degli stati non-neutrali dell'Unione europea. Inoltre, tale proposta dovrà consentire a tutti gli Stati che lo vogliano, "piccoli" e "grandi", di poter trovare ciascuno il proprio giusto posto. Da questo punto di vista, solo il meccanismo di voto a doppia maggioranza (maggioranza degli stati e maggioranza delle popolazioni) (4) in seno al Consiglio e l'attribuzione alla Commissione Europea della gestione della politica comune possono offrire agli uni e agli altri delle garanzie sufficienti.

Può la Francia trovarvi il suo tornaconto? Ecco alcune cifre. Nell'ipotesi in cui 19 stati(5) decidessero di partecipare alla creazione di questo esercito europeo comune, e sulla base delle nuove regole stabilite dal Trattato di Lisbona, la maggioranza necessaria nel Consiglio per adottare le proposte della Commissione europea dovrebbe comprendere almeno 11 stati (55%) che rappresentino insieme 253 milioni di abitanti (65% della popolazione europea). In altri termini, la minoranza di blocco dovrebbe essere composta da 9 stati, oppure da un numero di stati (minimo 3) che insieme rappresentino almeno 137 milioni di abitanti. Cosi, per esempio, la Germania, la Francia e un altro Stato membro potrebbero insieme opporsi a una decisione che ritenessero inopportuna. Queste cifre dovrebbero rassicurare la Francia, tanto più che l'esperienza ha dimostrato come la soppressione del meccanismo di decisione all'unanimità non abbia mai avuto come effetto quello di isolare l'uno o l'altro stato ma, al contrario, l'effetto virtuoso di eliminare riflessi ostruzionisti.

I Mistral per l'Europa

Solo in una configurazione come questa diventerebbe possibile, secondo noi, dare una risposta politica responsabile alla questione della vendita dei Mistral alla Russia. La Francia cancellerebbe il contratto di vendita, mentre allo stesso tempo altri stati membri che auspicassero una cooperazione rafforzata(6) potrebbero porsi come obiettivo la creazione di due gruppi aero-navali, che si articolerebbero in un primo tempo intorno ai due Mistral, insieme alla creazione di due brigate d'intervento rapido dispiegabili a partire da queste due navi. Nel caso in cui i Britannici (che, per ragioni di politica interna, non sono manifestamente pronti a partecipare ad una tale iniziativa al momento) vi si opponessero, gli Stati favorevoli potrebbero procedere al di fuori dei Trattati, come accadde nel caso del Trattato di Schengen.

Al fine di evitare qualsiasi equivoco, precisiamo che una tale proposta non ha niente in comune con le varie iniziative bi-nazionali come la brigata franco-tedesca o multi-nazionali quale l'Eurocorps. Ciò di cui si tratta qui non riguarda né gli eserciti nazionali, né le forze di dissuasione nucleare, né la partecipazione alla Nato, ma bensì la creazione ex-novo di un primo nucleo di esercito europeo comune composto da soldati europei (e non da contingenti nazionali), organizzato nel quadro delle istituzioni comunitarie, dotato della propria catena di comando, di una lingua di lavoro comune (l'inglese), di una accademia militare interna, di servizi di intelligence autonomi...

Se già le numerose crisi internazionali prima ricordate avevano suggerito, nel corso degli ultimi anni, la necessità per l'Europa di dotarsi di un tale strumento, l'annessione della Crimea e l'opera di destabilizzazione dell'Ucraina orientale non lasciano più alcun dubbio sulla natura profondamente antidemocratica dell'attuale regime russo e sulla minaccia che esso rappresenta per la sicurezza dell'insieme degli Europei. L'Europa deve cambiare il proprio paradigma strategico. La creazione di uno strumento comune di difesa ci sembra costituire un primo passo, indispensabile quanto urgente, in questa direzione.

Note al testo:
(1) Fra gli altri, da parte del filosofo André Glucksmann
(2) "Les doléances de François Hollande à Angela Merkel", Le Monde, 4 agosto 2014
(3) Bernard Barthalay, "Un condominium des Etats de la zone euro? Est-ce bien raisonnable?", 12 febbraio 2014,
(4) Trattato di Lisbona
(5) Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna
(6) Articolo 329 del Trattato di Lisbona