La solita Roma. Cucù, il referendum (sulle Olimpiadi) non c'è più
Istituzioni ed economia
La gestione commissariale del Prefetto Tronca è stata finora giudicata, a ragione, un esempio di buona e efficiente amministrazione, confermando peraltro in molti - non solo anti-romani - la convinzione che nel rapporto tra il sistema dei partiti e il governo della Capitale, a partire dalle scelte amministrative più banali (esigere il pagamento di canoni di mercato dai locatari degli immobili comunali, ad esempio), le logiche di potere prevalessero sulle regole di diritto non solo per dolo criminale, ma per (chiamiamola così) volontà politica.
Roma è in questo modo diventata una città del tutto fuori misura e fuori controllo - con troppi dipendenti, troppo debito e troppe relazioni pericolose strette all'ombra del Campidoglio - e inoltre difficilmente riformabile proprio perché la Roma "sbagliata", che non è solo quella dei sodalizi criminali, ma delle alleanze trasversali tra i poteri locali, è divenuta sempre più democraticamente influente e rappresentativa della "vera" Roma.
C'è però almeno un atto (non porta la firma del Commissario, ma non esclude la sua responsabilità) che invece dimostra come il rapporto tra l'esercizio del potere amministrativo e il rispetto di fondamentali regole di diritto a Roma sia, Tronca regnante, tornato ad essere, per usare un eufemismo, quantomeno problematico. Questi, in breve sintesi, i fatti.
Nei mesi scorsi i Radicali italiani, su impulso del consigliere comunale uscente Riccardo Magi, hanno avviato la procedura prevista dallo Statuto Comunale per la richiesta di un referendum consultivo sulle Olimpiadi del 2024, per le quali la Capitale ha avanzato formalmente la sua candidatura con una mozione approvata dall'Assemblea capitolina nel giugno dello scorso anno. Hanno quindi raccolto le 1000 firme necessarie a presentare la richiesta alla Commissione per i referendum (composta da tre docenti universitari esterni all'amministrazione e dal segretario generale e dal capo di gabinetto di Roma Capitale), che il 18 aprile 2016 ha giudicato ammissibile il quesito.
In base alla normativa, i promotori avevano trenta giorni dall'ammissione del quesito per avviare la raccolta delle firme di almeno l'un per cento dei romani (poco meno di 30.000 firme), da concludere entro tre mesi. I radicali volevano iniziare la raccolta il 14 maggio (per terminarla entro metà luglio), ma hanno quasi casualmente scoperto da una nota loro consegnata, dopo lunghe insistenze, e firmata dal vice segretario generale, che l'amministrazione capitolina ha fissato una sospensione del termine per l'inizio delle sottoscrizioni, in base a riserve e eccezioni sollevate dal CONI, richiedendo una valutazione "suppletiva" alla Commissione per i referendum.
Nel ricorso al Tar immediatamente presentato dai radicali è spiegato per quale ragione il provvedimento adottato dall'amministrazione sia nullo e in palese violazione delle regole, a cui lo Statuto e il Regolamento per gli Istituti di Partecipazione e di Iniziativa Popolare vincola l'amministrazione in caso di richieste di referendum consultivi. L'amministrazione, dopo l'ammissione del quesito, non può fare nient'altro che verificare che l'avvio della raccolta firme avvenga nel rispetto delle norme del Regolamento; non può fare marcia indietro, e ripartire da capo, sospendendo la decisione dell'unico organo autorizzato a deliberare sull'ammissibilità del referendum e chiamandolo a pronunciarsi nuovamente su di esso. Ma se questi, quanto meno allarmanti, sono i fatti, ancora più allarmante, sempre per usare un eufemismo, è la morale che da questi fatti emerge.
È evidente che la questione Olimpiadi è un tema politicamente e economicamente sensibile. Dopo il no da parte del governo Monti alla candidatura di Roma per i Giochi 2020, ci sono molte ragioni per dubitare che una città super indebitata e gravemente inefficiente, anche nella gestione dei servizi ordinari, sia all'altezza di uno sforzo organizzativo ed economico di questa portata, considerando che in tutte le Olimpiadi precedenti gli extracosti hanno di molto superato i preventivi di spesa. C'è anche chi, come il Governo, ritiene molto ottimisticamente che proprio la scommessa olimpica possa rappresentare per Roma un'occasione di rilancio e un incentivo all'efficienza.
Ma di certo non è bene che di questi argomenti (e degli interessi connessi) non si parli pubblicamente e non si decida democraticamente, anche per via referendaria, come hanno fatto altre Città, prima della decisione del CIO prevista per il settembre del 2017. Sopratutto quando il referendum è previsto dalla "Costituzione" di Roma (cioè dallo Statuto), è stato richiesto e ammesso in base ad essa ed è stato poi sospeso contro di essa.
Tutte le cose peggiori nella storia della Capitale, tutte le "grandi sfide" che l'hanno portata a un default giuridicamente sventato solo con fiumi di miliardi pubblici (e non romani) sottratti a usi più produttivi, sono nate così. E le Olimpiadi 2024 iniziano sinistramente a somigliare a questi precedenti.