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Nella ricerca di angoli ancora liberi nell’Orto dei Miracoli in cui piantare zecchini d’oro da trasformare in moneta sonante per le folle in festa sotto i palazzi del potere, torna in auge l’idea di rendere impignorabile la prima casa. La pensata non è nuova, se ne parlava parecchio già in occasione della campagna elettorale del 2013, in epoca di feroce stretta creditizia, e oltre al Movimento 5 Stelle se ne erano innamorati anche Fratelli d’Italia e la Lega Nord.

Ora che sono tutti al governo è tempo di passare dalle parole ai fatti, e infatti il neo Superministro al Lavoro e allo Sviluppo Economico Luigi Di Maio la ha già messa in agenda sotto il suggestivo nome di “legge Bramini”, dal nome dell’imprenditore fallito a causa di crediti mai riscossi dallo Stato, e destinato ad affiancarlo in qualità di consulente.

La proposta del Movimento 5 Stelle prevede che la prima casa non possa essere mai pignorata, in nessun caso. Questo porta con sé alcune indesiderate (ma molto prevedibili) conseguenze: la prima, autoevidente: se gli istituiti di credito non potranno rivalersi sul bene di chi non paga il mutuo, a chi mai concederanno più un mutuo? Quindi nel fantastico mondo di Giggino and friends i mutui per la prima casa se li potrà permettere solo chi dispone di altre adeguate garanzie patrimoniali, e se sei povero e hai solo il frutto regolare del tuo lavoro ti arrangi. Perfetto.

Di più, se l’esempio del povero Bramini verrà “convertito in legge”, anche le case ipotecate a garanzia di altri prestiti non saranno più soggette a pignoramento in caso di insolvenza. Questo è un aspetto importante, perché anche legislazioni “protettive” nei confronti dei proprietari di prima casa, in vigore ad esempio negli USA, escludono dalle “homestead exemptions” i casi in cui la casa sia ipotecata per far fronte ad altri investimenti, in virtù del principio per cui ognuno è responsabile delle proprie scelte economiche, e a pagarne le conseguenze non può essere il creditore.

Proprio negli USA e in Canada sono state messe in atto alcune misure per proteggere la prima casa dal pignoramento in alcune specifiche e ben delimitate occasioni. Di questi limiti parlava Matteo Rizzolli in un articolo su lavoce.info di alcuni anni fa, da rileggere oggi.

i) se il proprietario ha liberamente acceso un’ipoteca sulla casa, non si applica alcuna homestead exemption e in caso di impossibilità di restituire il prestito ipotecario il creditore si rivale sulla casa e ii) l’esenzione ha un valore massimo prestabilito che varia sensibilmente da stato a stato e può dipendere anche dalle condizioni del proprietario. Spesso i valori massimi crescono, ad esempio, in base al fatto che il proprietario sia una vedova, un veterano, una persona con disabili a carico o che si tratti di un agricoltore. In ogni caso il valore massimo esentabile non supera mai i 200mila dollari e spesso si aggira intorno ai 50mila dollari. Nel caso l’immobile abbia un valore superiore, il pignoramento viene portato a termine e il valore esentato viene girato ai proprietari. Le ragioni economiche dei due limiti sono facilmente intuibili: da una parte si tutela la libertà individuale di scegliere volontariamente di rischiare la propria prima casa per ottenere un credito attraverso l’ipoteca e dall’altra si limita la distorsione dei comportamenti d’investimento, rendendo inutile il sovrainvestimento nella prima abitazione per tutelare il patrimonio dei creditori.

Il paradosso invece della proposta di cui si parla oggi è proprio questo: la prima abitazione diventerebbe il recinto in cui proteggere il patrimonio di investitori spensierati, mentre le persone “normali” avrebbero difficoltà sempre maggiori a vedersi riconoscere un mutuo per l’acquisto della prima casa. Ma a quel punto potremo sempre dare la colpa alle banche, alla Merkel, alla speculazione e a Soros, tutti articoli che si portano benissimo in questa stagione.