logo editorialeNelle stesse ore in cui Israele pregava per la vita di Eyal, Gilad e Naftali, il Ministro degli esteri italiano Federica Mogherini, candidata di Renzi al ruolo di alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, invitava l'Europa al boicottaggio d'Israele e nello specifico dei prodotti degli insediamenti vicini a dove erano stati rapiti e, ora si sa, anche uccisi i tre studenti israeliani. Obama, nel segno dell'appeasement che ha contraddistinto finora la sua politica estera, ha invitato le parti ad astenersi da mosse che potrebbero ulteriormente destabilizzare la situazione. In pratica, il presidente americano ha negato allo Stato ebraico il diritto di difendersi e di rispondere con fermezza al più grave degli attacchi contro Israele degli ultimi anni.

Ma non sono tanto le reazioni degli Usa o le prese di posizione della Mogherini a costituire di per sé un problema. Il vero problema è che tutti gli equilibri sullo scacchiere geopolitico mediorientale e gli stessi interessi (o supposti tali) delle democrazie occidentali per l'evoluzione politica di quell'area sensibile sono profondamente mutati a danno d'Israele e delle sue ragioni. La sicurezza d'Israele e il suo diritto a esistere non costituiscono più una priorità, ma piuttosto un problema per la politica estera dei paesi occidentali, che si sono sempre più dissociati dallo stato ebraico e dal suo destino. Scelta profondamente errata, di cui oggi Europa e Usa pagano un prezzo, senza nemmeno rendersene conto. La difesa d'Israele rappresentava un unicum nella politica internazionale proprio in virtù della specificità dell'area e dei cambiamenti geopolitici che l'attraversavano. L'idea di uno Stato ebraico e democratico come avamposto occidentale non fa parte solo della retorica filoisraeliana, ma ha rappresentato per diverse generazioni il principio cardine della politica americana e, almeno in parte, di quella europea.

Ad eccezione di Carter, che non a caso Obama sembra richiamare nella sua azione, la vicinanza dei presidenti americani alle ragioni d'Israele è servita a garantire maggiore stabilità e sicurezza nell'area, non a incentivare, a differenza di quanto pretende la vulgata, le ragioni dell'instabilità. Il fallimento delle primavere arabe non può non essere legato al disinteresse delle amministrazioni americane e europee nei confronti dell'area mediorientale, a vantaggio di aree e economie emergenti. L'incredibile numero di morti in Siria, il caos continuo in Egitto, l'avanzata senza sosta degli estremisti islamici in Iraq non sono coincidenze senza connessione, ma nascono dalla scelta dell'Occidente di abbandonare la difesa di alcuni valori fuori dai propri confini e, di fatto, di abbandonare quanti hanno scelto di condividerli e di combattere per essi.

È la stessa scelta che l'Occidente ha compiuto nei confronti d'Israele. Dimenticando le sue ragioni si è così deciso di ammainare la bandiera della libertà, favorendo l'avanzata di chi vuole gli ebrei o morti o convertiti. L'idea di un califfato unico in Medio Oriente non è più così peregrina e quello che non riuscì alla Lega Araba quarant'anni fa, sembra invece essere a portata di mano  per gli eredi di Bin Laden. Coloro che hanno ucciso Eyal, Gilad e Naftali, sono gli stessi che uccidono i cristiani che vanno a messa in Nigeria. E soprattutto li uccidono di fatto per le stesse ragioni. Bisognerebbe capirlo e onestamente accettarlo.

Israele sceglie di combattere la sua battaglia in solitudine, semplicemente perché non ha altre scelte. Con gli Usa che restano a guardare, con l'Europa incapace di esprime una voce unica e sensata, Israele non ha più alleati. La vicinanza in termini economici e tecnologici con la Cina non ha valore politico e la Russia non è mai stato, né probabilmente sarà mai, un alleato credibile. Israele è sola non perché si è isolata - come recita un altro degli stucchevoli refrain della retorica geopoliticamente corretta - ma perché è stata abbandonata .

In questo senso l'uccisione di Eyal, Gilad e Naftali non è una semplice pagina di cronaca nera, ma è il punto d'arrivo di una storia tremendamente più complicata, che troppi, anche in Italia, fingono di non capire. Tre studenti uccisi non per caso; tre ragazzi uccisi perché ebrei e israeliani, perché cioè rappresentavano il prototipo del nemico perfetto del terrorismo islamista. Tre studenti di una scuola rabbinica che, nel rispetto delle loro tradizioni, amavano la musica, il calcio e il tempo trascorso con gli amici. Insomma sapevano far convivere fede e modernità, un'idea evidentemente assurda per chi ritiene invece la convivenza impossibile e vorrebbe riportare tutti con la forza all'età della pietra, incontrando in questo non l'opposizione, ma il disimpegno corrivo dell' Occidente.

La bestialità fanatica che ha armato gli assassini di Eyal, Gilad e Naftali non è la conseguenza di altro, ma la causa di tutto. Dei pericoli che Israele deve affrontare, per difendersi e di quelli che l'Occidente, con atteggiamento elusivamente suicida, rimuove pensando di agire più a monte, per meglio volgere lo sguardo da quanto succede a valle.

@danielfunaro