Immaginate una regione della Terra ad altissimo rischio sismico, la baia di San Francisco, per esempio. Nella baia di San Francisco un forte terremoto colpisce all'incirca una volta ogni trent'anni, quindi ogni 10.000 giorni. Tradotto in "statistichese", c'è lo 0,01 percento di probabilità che quel forte terremoto colpisca in un dato giorno, ad esempio domani. Dato che i terremoti tendono a raggrupparsi, nello spazio e nel tempo, uno sciame sismico aumenta la probabilità di un evento catastrofico. Se questa probabilità aumenta di 100 volte, arriveremmo all'1 percento di probabilità di avere un forte terremoto domani. Non male come scostamento rispetto alla norma, ma l'1 percento giustificherebbe una evacuazione? Nel 99 percento dei casi si tratterebbe di un falso allarme. Peraltro quell'evento catastrofico potrebbe anche non verificarsi per niente.

terremotoAquila

Non conosciamo ancora le motivazioni della sentenza che ha assolto in appello dall'accusa di omicidio colposo Enzo Boschi e gli altri membri della Commissione Grandi Rischi della Protezione Civile, in merito a presunte negligenze nella gestione del rischio nei giorni immediatamente precedenti il sisma che all'Aquila, il 6 aprile del 2009, ha procurato la morte di più di trecento persone, ma tenere a mente quest'ordine di grandezze è assolutamente necessario per aver chiara la situazione ed evitare pericolosi fraintendimenti.

Ma anche senza conoscere le motivazioni della sentenza, e accontentandosi di quelle che avevano portato alla condanna degli stessi imputati in primo grado, ci sono non poche ragioni di sollievo.

Se il processo dell'Aquila, ha ragione chi sottolinea questo aspetto, non è stato istituito contro la scienza o il metodo scientifico, ma per verificare l'eventualità di una catena di negligenze in ragione della quale alcune persone hanno perso la vita, è l'atto d'accusa e la condanna in primo grado ad aver trasformato il procedimento in una farsesca caccia al capro espiatorio.

Gli scienziati, nella ormai celebre riunione della commissione Grandi Rischi del 31 marzo (una settimana prima, non la notte precedente il terremoto, come ormai recita la vulgata social che riscrive la verità ad uso dei gonzi) hanno dato la risposta corretta a una domanda sbagliata, posta da chi pretendeva che quella commissione tranquillizzasse gli abruzzesi in merito alle farneticazioni di un santone che all'epoca vaticinava catastrofi a Sulmona.

Di più: se la riunione, e la conferenza stampa che seguì, sono state davvero una "mossa mediatica" – parlava in questi termini Bertolaso in una intercettazione – gli scienziati che a quella riunione parteciparono furono vittime, quanto meno di un uso improprio delle loro competenze. Ma le condanne in primo grado non hanno distinto le responsabilità individuali, limitandosi ad attribuire de facto alla scienza un potere di previsione degli eventi sismici che semplicemente non ha e non potrebbe avere.

De Bernardinis, che della commissione era portavoce (non scienziato) non avrebbe dovuto affermare in una intervista televisiva che lo scarico di energia derivante dallo sciame sismico riduceva la possibilità di un forte terremoto. E' una frase ambigua, che non spiega nulla: non conosciamo, e non abbiamo modo di conoscere, la quantità di energia accumulata in profondità, quindi non sappiamo se quella scaricata dalle piccole scosse sia sufficiente a scongiurare un forte terremoto oppure no. E' come l'aria contenuta in un palloncino, farla uscire un po' alla volta non elimina il rischio di un bel botto, se non sappiamo quanta pressione c'è ancora al suo interno qwuando lo andiamo a pungere.

Ma dai verbali della riunione risulta che nessuno dei partecipanti abbia minimizzato i rischi, e quindi se la condanna in primo grado metteva tutti nello stesso calderone (l'appello conferma una condanna, benché più lieve, per De Bernardinis), è segno che quello che si pretendeva dagli scienziati fosse un allarme a prescindere, in nome del solito malinteso principio di precauzione in base al quale se qualcosa non si può escludere, è segno che avverrà. E il fatto che, a posteriori, il terremoto si sia verificato davvero è di per sé una prova sufficiente di colpevolezza.

Ci si augura a questo punto che ognuno torni a fare il suo lavoro, a cominciare dagli scienziati, tutti, ai quali la sentenza d'appello restituisce un ruolo civile e civico di condivisione delle competenze che la sentenza di primo grado aveva loro sottratto. Il rischio che chi sa non parli per paura di incorrere in guai giudiziari, è, tra le unintended consequences del processo dell'Aquila, il primo da scongiurare.

@LaValleDelSiele