Mentre la Direzione Nazionale Antimafia, in base ai dati in suo possesso, ribadisce che legalizzare la cannabis ridurrebbe i guadagni della criminalità organizzata e libererebbe risorse per combattere altri crimini, alcuni rappresentanti della politica e della magistratura affermano il contrario, ma non hanno altre pezze d’appoggio se non l’ideologia.

Rossi marijuana

Nell’ultimo numero di Strade compariva un articolo di Federica Colonna dal titolo “Politica e informazione: la verità è morta e sepolta?” che iniziava così: “Credi in quello che ti convince di più, indipendentemente dalle prove che possiedi. È il mantra della politica e della comunicazione post-verità, alla quale i social media fanno da cassa di risonanza e della quale siamo tutti un po’ vittime.”

Questo mantra è tipico di chi sostiene ideologicamente le leggi proibizioniste sulla droga in generale, e sulla cannabis in particolare, nonostante le prove scientifiche a disposizione di chiunque voglia conoscere i fatti, ormai reperibili da tutti a livello mondiale, che dimostrano il fallimento globale di tale approccio al di là di ogni ragionevole dubbio. Un esempio recente dell’approccio ideologico è il convegno organizzato il 27 settembre scorso dai senatori Carlo Giovanardi e Maurizio Gasparri, con il contributo di un paio di comunità terapeutiche e organizzazioni sociali, dal titolo “Cannabis, non è mai leggera. Droga, Mafia, Legalità”. Gli organizzatori avevano lo scopo dichiarato di ricordare la pericolosità della legalizzazione della cannabis, in discussione alla Camera dei Deputati, e hanno affermato addirittura che legalizzare sarebbe un favore fatto alle mafie.

Le ragioni espresse dai relatori sono risultate basate esclusivamente sull’ideologia: i dati riportati sono assolutamente non rispondenti alla realtà, e dimostrano la non conoscenza, sia da parte dei politici presenti che del magistrato Gratteri, di informazioni dettagliate e di fonti attendibili sul mercato delle sostanze illegali. Da qui una serie di ragionamenti infondati sulle conseguenze dell'attuale regime di formale divieto, ma di sostanziale liberalizzazione di tutte le sostanze.

In questo intervento mi soffermerò solo su alcuni numeri errati riferiti da Gratteri, fornendo invece il valore e le fonti dei numeri reali (e corretti). Non commenterò su quanto asserito da Giovanardi, che non ha letto, o forse volutamente trascura, la Relazione annuale al Parlamento 2015 sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, dove sono riportate le prevalenze di consumatori di sostanze e di tossicodipendenti (2014), molto più alte dei numeri da lui recitati.

Gratteri dice che il prezzo al grammo di cannabis è 4 euro in Italia al mercato nero attuale, mentre salirebbe a più di 10 nel mercato legalizzato - valore calcolato direttamente da lui, che si improvvisa economista. Non ha studiato, o ha rimosso, quello che gli economisti hanno valutato in proposito, e meno ancora l’esperienza dei paesi che hanno introdotto anche parziali legalizzazioni della cannabis. Inoltre parla di quanto costerebbe allo Stato mettere in vendita la cannabis in farmacia; ma la legge in discussione parla invece di punti vendita meno costosi. Fa un po’ di confusione tra la legalizzazione di cannabis per uso medico e quella per uso “ricreativo” di cui tratta la legge in discussione. Sembra quindi ignorare, almeno in parte, proprio la legge in discussione, su cui però interviene, quando fa il calcolo del costo di preparazione della sostanza; fa anche ipotesi fantasiose sul fatto che la 'ndrangheta, che sembra avere coltivazioni in Aspromonte, non paga la luce delle serre e gli strumenti di essiccazione, paga in nero i lavoranti e potrebbe tenere un prezzo ancora più basso sul mercato illegale. Insomma ipotesi non verificate per trarre conclusioni errate.

Ma… Il prezzo riferito da Gratteri è molto più basso dei prezzi reali rilevati dalle indagini europee presso gli utilizzatori, non solo italiani, e anche reperibili nelle relazioni e tabelle standard della Direzione Centrale dei Servizi Antidroga (DCSA). Il prezzo vero risulta di circa 8/9 euro al grammo per la marijuana e di 10/11 per l’hashish ed è rimasto costante negli ultimi anni, dimostrando che la repressione e i sequestri non alterano il mercato al dettaglio. Utilizzando metodi davvero scientifici, e come riportato nelle relazioni della Direzione Nazionale Antimafia (DNA), risulta un tasso di intercettazione inferiore al 10%. Insomma, una perdita modestissima per le organizzazioni criminali, circa uguale a quella di negozi e supermercati per scadenza dei prodotti e difetti di confezione ecc.

Quindi il discorso economico di Gratteri, con cui sostiene che le organizzazioni criminali hanno margini di costo per continuare come prima, in caso di legalizzazione, dato che il loro prezzo rimarrebbe conveniente, non sta in piedi. Il prezzo falsato al ribasso gli permette soprattutto di dire che il mercato della cannabis è pressoché trascurabile rispetto a quello delle altre sostanze. Fa anche una confusione indicibile con la stima degli utilizzatori: ci sono le stime dell’Istat, oltre le mie che non voglio utilizzare qui, che dicono che il mercato della cannabis vale 2/3 di quello della cocaina e il doppio di quello dell’eroina.

Gratteri dice: “non ci sono tossicodipendenti in carcere, perché non si viene arrestati se si possiede un grammo di cocaina” (in parole povere: se si viene scoperti con poca droga, si viene classificati come semplici consumatori e l'arresto non scatta). Quindi, dice lui, un tossicodipendente è in carcere solo se ha commesso qualche azione violenta, per esempio un omicidio, sotto l’effetto delle sostanze.

Ma… quest’affermazione è fuorviante per chi ascolta sperando di “imparare”. I tossicodipendenti sono circa un terzo dei detenuti e sono in carcere non per azioni commesse sotto l’effetto di droghe, ma per piccolo spaccio o crimini contro il patrimonio commessi per la necessità di autofinanziare l’acquisto delle loro droghe. Anche su questo aspetto si dispone di dati ufficiali molto accurati, pubblicati a cura delle Regioni e della Direzione dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP). Cannabis plant

Ci sono anche dati coerenti in merito rilevati a livello europeo. E infatti la Strategia europea 2013-20 (quella italiana è ferma al 2012) sostiene che si debba:

“Ingrandire lo sviluppo, la disponibilità, e la copertura delle misure di riduzione della domanda di droga nelle prigioni, in modo adeguato e basato su una corretta valutazione dello stato di salute e delle necessità dei detenuti, con lo scopo di raggiungere una qualità di cura equivalente a quella a cui si provvede fuori dal carcere e in accordo con il diritto alla cura della salute e alla dignità umana come dichiarato nella Convenzione europea sui diritti umani e nell’atto europeo costitutivo dei diritti fondamentali. Dovrebbe essere assicurata la continuità di cura in tutte le fasi del sistema di giustizia criminale e dopo il rilascio”.

È appena scaduto il termine per presentare alla Commissione europea proprio progetti su tossicodipendenza e carcere.

L’Europa ha anche già finanziato un progetto di rilevazione degli interventi “harm reduction” in carcere il cui rapporto è disponibile da ottobre 2016 e che suggerisco di leggere. Nel rapporto, tra l’altro, si legge che in alcuni paesi, in Italia in particolare, l’approccio ideologico non permette di impostare adeguatamente questi interventi perché esiste un’interpretazione (di facciata) del carcere come luogo sicuro dalla droga, che è totalmente falso.

Gratteri dice:
"Parlando degli effetti della legalizzazione del 2012(1) in Colorado, nel 2012, 2013 e 2014 c’è stato un aumento dei crimini del 6,2% e un aumento dei reati di 10861 per implicazioni violente e 33411 contro il patrimonio nel 2013 e si è impennato del 66% per cento il numero degli incidenti mortali dovuto alla marijuana e poi c'è stato anche un aumento dei consumi nel 2013-2014 del 32% per cento rispetto il biennio precedente".

Ma…
In realtà il primo punto di vendita legale risale al primo gennaio 2014, e occorre tener conto che chi diffonde quei dati è un tale Tom Gorman che ha dichiarato che "ogni volta che viene legalizzata una sostanza l'effetto immediato è quello che un numero sempre maggiore di persone ne fa uso e ne deriva che più persone consumano una droga, più effetti negativi sulle loro vite ci sono; chi beve alcol non per forza si ubriaca, mentre chi fuma marijuana lo fa per sballo". Il Denver Post ha etichettato Gorman (che non è professore, anche se Gratteri lo denota così, e tanto meno uno scienziato), direttore di Rocky Mountain High Intensity Drug Trafficking Area program, un “soldato della Guerra alla droga” ("drug-war soldier") che non si ricorda che la battaglia è finita. I sostenitori della marijuana terapeutica lo definiscono il comandante di una “guerra ai pazienti”, dato che sta aiutando a modificare la legislazione dello stato che può distruggere la crescita del settore dispensario statale.

Invece i dati ufficiali sull’uso in Colorado, per esempio, tra i giovani sono meno preoccupanti, come si vede sotto dai risultati di un’indagine statistica assai seria dello stato del Colorado, che ha coinvolto ben 17.000 ragazzi delle scuole medie e superiori.

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Un altro rapporto ufficiale di marzo del 2016 ha evidenziato come i guidatori sotto influenza di marijuana, anche insieme ad alcol o altre droghe (cosiddetti Dui, “Driving under the Influence”), non siano affatto aumentati tra il 2014 ed il 2015. Stessa tendenza per i reati contro il patrimonio, il cui tasso è diminuito del 3% dal 2009 al 2014, mentre quello per i crimini violenti si è ridotto del 6% nello stesso periodo.

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In Italia, la DNA (Direzione Nazionale Antimafia) dichiara:
Legalizzare le droghe leggere porterebbe ad una perdita secca di importanti risorse finanziarie, per le mafie e per il sottobosco criminale che, ad oggi, hanno il monopolio del traffico. Dall'altra parte ci sarebbe una contestuale acquisizione di risorse finanziarie per lo Stato, attraverso la riscossione delle accise”. Ma la legalizzazione condurrebbe anche "al prosciugamento, in una più ampia prospettiva di legalizzazione a livello europeo, di risorse economiche e finanziarie per il terrorismo integralista che controlla la produzione afgana di cannabis".
In conclusione, scrive la DNA, potremmo assistere "ad un vero rilancio – attraverso la liberazione e l’acquisizione delle predette risorse – dell’azione strategica di contrasto, che deve mirare ad incidere sugli aspetti (davvero intollerabili) di aggressione e minaccia che il narcotraffico porta sia alla salute pubblica (attraverso la diffusione di droghe pesanti e sintetiche) che all’economia ed alla libera concorrenza (attraverso il riciclaggio)".

Gratteri dice:
Se anche non si dovessero più fare interventi contro lo spaccio di cannabis non si risparmierebbero risorse perché la cannabis si spaccia insieme alle altre sostanze e dalle stesse persone.

Ma... è vero, purtroppo, che in conseguenza della legge Fini-Giovanardi, che non distingueva le pene fra sostanze pesanti e leggere, alcuni spacciatori offrivano varie sostanze; tuttavia, solo una parte dei luoghi di spaccio è un "supermercato di sostanze": la maggior parte dei numerosissimi spacciatori di cannabis si limita a quella e non tutti spacciano per strada, come risulta da un importante progetto europeo in cui la Commissione Europea mi ha inserito per lo studio del mercato in Italia.

I numeri degli spacciatori ovviamente non sono noti con certezza, ma possono essere stimati; così ho fatto io. Sono riportati in una pubblicazione internazionale e nel libro del 2016 "Proibizionismo, criminalità, corruzione". In sintesi si ha che, negli ultimi anni, il numero medio di lavoranti di livello medio-basso nell’offerta di cannabis è 250.000, nella cocaina 190.000 e nell’eroina 90.000. Se si analizzano i dati relativi alle denunce e ai sequestri nei rapporti DCSA, si scopre che sono molti meno della metà i casi in cui si sequestra più di una sola sostanza, quindi almeno 150.000 spacciatori di cannabis lavorano SOLO su quest’ultima.

Una legalizzazione inciderebbe dunque su più di metà dell'attuale manodopera, a cui subentrerebbero, nell'immediato, venditori legali. Approssimativamente si risparmierebbe almeno la metà delle operazioni di contrasto dell'offerta di cannabis, quindi si libererebbero risorse per più importanti interventi. Le stesse conclusioni della DNA, che, del resto, possiede i dati più affidabili e completi perché collegabili tra vari database.

Per chi vuole approfondire le conseguenze delle leggi proibizioniste consiglio il testo “Proibizionismo, criminalità, corruzione”, a cura di Maria Antonietta Farina Coscioni e Carla Rossi, con prefazione di Giovanni Maria Flick, UniversItalia, Roma 2016.

Nota al testo:
(1) Era inizialmente legalizzazione della marijuana per scopi medici, mentre solo nel gennaio 2014 lo stato del Colorado ha autorizzato, per la prima volta negli Stati Uniti, la produzione, il consumo e la vendita dei derivati della cannabis per uso ricreativo permettendo l’apertura del primo negozio.