Meloni braccio grande

A Giorgia Meloni i più riconoscono oggi il merito di avere finalmente voltato pagina con la lunga lettera ai dirigenti di Fratelli d’Italia, in cui espelle moralmente dal partito i giovani dissociati tra l’orgoglio del cuore nero e l'esibizione pubblica di un conservatorismo democratico. Invece la lettera della Presidente Meloni è l’ennesimo esercizio di doppiezza, che continua a rappresentare il framework etico-politico del post-fascismo italiano e di cui anche quei giovani fascisti, prigionieri dell’incantesimo e della mitografia del Ventennio, sono il prodotto e non possono essere considerati un semplice scarto o bug del sistema.

A seguire, il discorso che Meloni avrebbe potuto fare in spirito di verità ai nostalgici di Gioventù Nazionale – e che proprio per questo non ha fatto.

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Cari giovani amici,

siamo tutti – io e voi – i figli della segregazione dei padri nella marginalità della conventio ad excludendum costituzionale e della discriminante antifascista. Siamo tutti eredi di una storia di esclusione coatta, che non ha suscitato, per molti, troppi di noi, una più risoluta adesione ai valori della libertà democratica, ma un senso di ribellione e di rivalsa e l’alibi di percorsi paralleli o contrari a quelli della Repubblica. So tutto, ho vissuto tutto.

Però ne è passato, di tempo. Abbastanza per dire che né io, dove sto, né voi, dove rimanete, siamo dei figli di un Dio minore, degli intrusi nei corridoi e nelle stanze della noiosa, sorda e grigia routine democratica. Siamo un pezzo legittimo di quest’Italia fondamentalmente sbagliata, per la parte cui noi tutti apparteniamo, ma non solo per quella, e di una vicenda di odio e di sangue, che ha visto per decenni noi e i nostri nemici comunisti battagliare per ideali apparentemente nobili, ma fondamentalmente ed egualmente mostruosi.

Però non eravamo noi, i mostri. E neppure loro. Mostruosa era l’ideologia che asserviva il nostro amore della patria e dell’onore o il loro amore dell’uguaglianza e della giustizia a un programma mediocre e necrofilo di oppressione e di illibertà, di discriminazione e di prevaricazione e di fini grandi che giustificano mezzi sporchi. Non era quello che speravamo e speravano, volevamo e volevano, ma è quello che abbiamo finito per fare e per difendere, per un senso del dovere degradato a etica da clan.

Le cose che mi chiedono oggi di condannare in voi sono grosso modo le stesse che, alla vostra età, io rivendicavo orgogliosamente per coraggio militante (ed era vero coraggio: costava minacce e botte, non fervorini edificanti). Per questo vi dico: lasciate stare. Sono scemenze: la nostalgia del Ventennio, Mussolini grande statista, il cuore nero della storia nazionale... Per non dire delle scemenze ancora più grandi su cui vi hanno pizzicato: la stereotipia nazista, l’antisemitismo, l'oltranzismo dottrinario e vandeano per un mondo senza diritti e senza diversi, una galera di colori e di voci in cui anche molti di noi “grandi”, alla vostra età, vedevamo un rifugio, nella nostra ossessiva claustrofilia.

Adesso mi chiedono di condannarvi, di scaricarvi, di consegnarvi al discredito. Ma io non lo faccio, perché vi voglio bene e so che me ne volete, ma soprattutto so di essere stata come voi, di potermi riconoscere in tutto quello che siete e fate, perché la vostra storia è esattamente la mia storia – scemenze comprese – e il mio compito è in primo luogo quello di portarvene fuori. Non siete solo voi che vi siete acconciati alla doppiezza, all’alternanza tra inconfessabili fascisterie e inappuntabili doppiopetti morali da conservatori perbene. Lo abbiamo fatto anche noi e, quando non lo abbiamo fatto, lo abbiamo permesso.

Io non vi voglio espellere, sarebbe troppo facile: un tributo alla menzogna, che è sempre più facile del coraggio della verità, che invece vi devo e mi dovete. Vi voglio portare con me dove si possa vivere non la vergogna del nostro passato, ma l’orgoglio di averlo superato, dove possa essere condannato l’errore che ci ha portato sulla cattiva strada, ma non la strada per cui ci dobbiamo incamminare e che è tanto più preziosa, per noi e per tutti, perché va in direzione opposta a quella percorsa finora.

Quindi: basta nostalgia, basta antisemitismo da osteria e da sacrestia, basta culto della violenza, basta saluti romani come coperta di Linus della frustrazione e dell’irrilevanza. Basta, tutti insieme: perché siamo tutti – io e voi – a Palazzo Chigi; perché so bene che i voti che mi hanno portato dove sto, e che ora mi chiedono di ripudiare, sono anche i vostri. Avere vinto ci dà l’occasione e la forza per fare ciò che da perdenti e esclusi della storia ci sarebbe sembrato un tradimento. Per questo vi ripeto: adesso basta, per tutti noi: per voi e per me. E per me, prima che per voi.