salvinivangelo

Sulla parete della classe del mio liceo classico campeggiava un crocifisso di ottone accanto all'immagine vitrea di Oscar Luigi Scalfaro: era un liceo paritario, gestito dai padri Scolopi, e nessuno si sarebbe mai sognato di contestarne la presenza. Quasi tutti i nostri docenti erano laici. Ma in particolare, ci insegnava Storia e Filosofia, una anarchica doc: capelli rasati a zero, biondissimi e ribelli, jeans elasticizzati, scarpe tacco 12. Quando entrava, mentre tutti gli altri professori ci facevano mettere in piedi per il segno della croce, lei faceva un cenno con la mano con cui intendeva dire “fate voi, io mi astengo”. E noi ci sentivamo liberi di aderire o meno al suo invito.

Io la osservavo incuriosita, in quegli anni di formazione, ma ricordo benissimo di averla adorata: come si adorano i simboli più che le persone. Questo perché, lo avrei capito dopo, in quella scuola cattolica, lei era un segno, vivente, di ribellione agli schemi, ma era anche qualcosa di più: era la prova che tutto avrebbe potuto stare insieme in quel posto ma che nulla avrebbe mai messo in discussione quello che davvero eravamo fuori di lì.

Ancora oggi, mi accade una cosa strana. Quando la penso, provo una sorta di commozione: quello speciale sentimento che ci ricongiunge a un ricordo liberatorio. Io - che mi ero sempre posta il “problema” della fede, che mi interrogavo senza pace e senza risposta, attraversata da una sorta di inquietudine - avevo incontrato una persona apparentemente libera, esteticamente dissonante con un contesto formale che aveva i suoi riti e i suoi codici, e si mostrava anche serena nell’appartenervi.

Qualche giorno fa, su twitter, la parola “crocifisso” veniva data come trend topic: sebbene la proposta di legge n. 387  - “Disposizioni concernenti l’esposizione del Crocifisso nelle scuole e negli uffici delle pubbliche amministrazioni”: prima firmataria, la leghista Barbara Saltamartini - sia stata presentata il 26 marzo scorso, (dunque, a legislatura appena insediata), la questione del crocifisso è tornata ad essere argomento di dibattito, in queste ore calde, tra gli internauti.

Ma - com’è ovvio - questo dibattito animato dall’iniziativa leghista nulla ha a che fare con il cristianesimo e con tutto il relativo apparato simbolicoNella relazione introduttiva della proposta di legge, infatti, si legge:

Risulterebbe inaccettabile per la storia e per la tradizione dei nostri popoli, se la decantata laicità della Costituzione repubblicana fosse malamente interpretata nel senso di introdurre un obbligo giacobino di rimozione del Crocifisso; esso, al contrario, rimane per migliaia di cittadini, famiglie e lavoratori il simbolo della storia condivisa da un intero popolo.

La croce come segno identitario, dunque, più che come simbolo cristiano. E allora, secondo il ragionamento leghista, se il crocifisso è espressione culturale e storica di un popolo, perché mai dovrebbe entrare in contraddizione con il principio della laicità dello Stato?

Ma il direttore dell’antica rivista dei gesuiti, Civiltà Cattolica, Antonio Spadaro, non ci sta: mica Cristo è un “Big Jim qualunque” che lo piegate a segno distintivo di un’identità culturale e ne negate la valenza, simbolica e “alta”, di lotta a ogni forma violenza e di amore e accoglienza incondizionati!

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La satira di Pinuccio ripete lo stesso concetto a modo suo: da un lato, sembra dire l’umorista barese, volete che la croce svetti in ogni porto ma, dall’atro, permettete che decine e decine di persone muoiano in mare:

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Questa “rivoluzionaria” proposta leghista, dunque - che si compone di cinque articoli e che, se approvata, renderebbe obbligatoria l’esposizione del crocifisso, “in luogo elevato e ben visibile” - ci fa tornare agli anni Venti e ai decreti regi che, intervenendo sull’arredo scolastico, accanto al’immagine del re (poi sostituita da quella del Capo dello Stato con l’avvento della Repubblica), prevedevano nelle scuole la presenza del crocifisso. Salvini come Vittorio Emanuele III, un secolo dopo. In peggio: visto che quei regolamenti ministeriali sono diventati il contenuto di una proposta di legge, nel 2018, interpretato in modo estensivo: non solo nelle scuole, la Lega vorrebbe la presenza della croce, ma anche:

[…] negli uffici degli enti locali territoriali, nelle aule nelle quali sono convocati i consigli regionali, provinciali, comunali, circoscrizionali e delle comunità montane, nei seggi elettorali, negli stabilimenti di detenzione e pena, negli uffici giudiziari e nei reparti delle aziende sanitarie e ospedaliere, nelle stazioni e nelle autostazioni, nei porti e negli aeroporti, nelle sedi diplomatiche e consolari italiane e negli uffici pubblici italiani all’estero, in luogo elevato e ben visibile.

E per chi - prescrive la pdl - “rimuove in odio” l'effige del Cristo in croce, sono previste multe da 500 a mille euro.

Ma ai leghisti cosa importa del crocifisso? Nulla.

Avrebbero potuto presentare una proposta di legge sull’obbligatorietà della “Rosa Celtica” in tutti gli uffici pubblici e allora sì che avrebbe avuto senso. Ve le immaginate? “Disposizioni concernenti l’esposizione del Sole delle Alpi nelle scuole e negli uffici delle pubbliche amministrazioni”: ecco, di questo sono capaci e questo è alla loro portata (e tanto è alla loro portata che l'hanno già fatto, ad Adro, alcuni anni fa). La croce che c’entra?

Dunque, dibattere su “crocifisso sì, crocifisso no”, dividersi tra credenti e atei, è davvero una trappola in cui non dovremmo cadere. Perché non è necessario essere credenti per comprendere che questa proposta di legge rappresenta un pretesto, un alibi, la strada burocratica che questo ceto politico è pronta a rendere obbligatoria per puntellare la propria assenza di visione politica e il deserto di idee che mai finirà di attraversare.

@iladonatio