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“Open Arms”, braccia aperte: è il nome della nave della Ong spagnola ProActiva, posta sotto sequestro, il 15 marzo scorso, dal gip di Catania in seguito al salvataggio di 218 migranti. Ma “Open Arms” è anche il titolo di una caznone, scritta dal musicista inglese Gary Go. Una canzone d’amore che a un certo punto fa: “Sono pronto a ricevere, io sono l’oceano, tu sei la corrente; sono pronto a ricevere, è come se ci fossero braccia aperte verso di me”.

Come si legge sul sito dell’organizzazione: “Se il soccorso di vite in mare è un crimine, allora chiamateci criminali. Vuoi essere nostro complice?”. Sotto questo messaggio, scorrono in loop le immagini di corpi stremati, soprattutto quelli di bambini e donne, ma anche di uomini, con indosso giubbotti di salvataggio, letteralmente, strappati alla morte dagli operatori della Ong di Barcellona. Altro messaggio che appare: “Noi mostriamo le storie che gli altri vogliono nascondere. Non lasceremo più vite alla deriva”.

Tutto inizia come una delle tante operazioni di soccorso viste negli ultimi anni, partita con una chiamata al centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo di Roma (IMRCC): sono stati avvistati alcuni gommoni in difficoltà, a una settantina di chilometri dalla costa libica. Bisogna intervenire. Alla chiamata rispondono il centro di Tripoli – che fa capo al governo di unità nazionale della Libia, l’unico interlocutore considerato legittimo dalla comunità internazionale, ma che controlla solo una piccola porzione del territorio – e la nave di Open Arms. Intanto, la Guardia costiera italiana fa sapere a Open Arms che le operazioni di soccorso sarebbero state gestite dalle autorità libiche, e si raccomanda di consegnare i migranti soccorsi a una nave libica poco distante. Ma l’Ong, arrivata sul posto per prima, soccorre i migranti a bordo dei due gommoni, seminando la motovedetta libica che la insegue per farsi consegnare le persone recuperate. Open Arms si rifiutata: gli agenti libici sono noti per aver commesso abusi sistematici sui migranti. Ma una volta approdata a Pozzallo (Ragusa), Open Arsm è sequestrata e l'equipaggio accusato di associazione per delinquere finalizzata all'immigrazione clandestina dalla procura di Catania. Quest’ultimo capo di imputazione cade mentre il sequestro viene convalidato.

 

C’è, da alcuni mesi, un tentativo illegittimo di ‘esternalizzare’ le frontiere - e dunque anche le responsabilità, incluso il rispetto degli obblighi internazionali - su paesi terzi. In questo caso specifico, lo spostamento di questi obblighi è ricaduto sulla Libia”. A parlare, Salvatore Fachile, che con ASGI, come legale, si occupa da anni di diritto dell’immigrazione e diritto minorile, con particolare riguardo alla protezione internazionale.

In questo salvataggio del 15 novembre scorso emerge una tendenza, spiega Fachile, inaugurata “a partire da agosto 2017, quando sono state poste in essere una serie di azioni da alcuni soggetti, compreso il governo italiano, tese a screditare e mettere in discussione la legittimità degli interventi delle Ong nel Mediterraneo. Interventi portati avanti da anni e con effetti positivi, in termini di vite umane salvate”. Queste azioni sarebbero confluite, prosegue Fachile, “in un fantomatico ‘codice di condotta’: un insieme di regole un po’ casarecce che avrebbe dovuto modificare gli obblighi internazionali, senza poterlo fare, essendo uno strumento privo di natura giuridica ma politica. Il primo caso, il sequestro della nave Iuventa (avvenuto la scorsa estate: la nave Iuventa è della ONG tedesca Jugend Rettet, ndr) è ancora aperto: le indagini sono in corso e non si sa come andranno a finire, ma intanto hanno contribuito a creare un clima di delegittimazione nei confronti degli operatori delle Ong”.

Due sono “punti giuridici” che emergono dalla lettura dell’ordinanza di sequestro. Innanzi tutto, “di non aver rispettato il codice di condotta: è data per certa l’illegittimità del comportamento dell’Ong spagnola, osservando una violazione dell’articolo 12 del testo unico sull’immigrazione - Dlgs 286/98 - che avrebbe dato luogo al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. Ma Fachile sostiene che “questa premessa non tiene conto di un dato fondamentale: non siamo di fronte a migranti privi di titolo di ingresso in un Paese europeo, ma a richiedenti asilo. E aiutare richiedenti asilo pone automaticamente fuori i soccorritori da questa fattispecie di reato”. Perciò, si sta favorendo qualcuno che ha un diritto - il richiedente asilo - pur in assenza di autorizzazione: il visto di ingresso sul territorio dell’Unione europea. “Questo punto è centrale ma non viene neppure affrontato: tanto è vero che queste persone, titolari di protezione internazionale, in nessun caso, potranno essere condannate per ingresso clandestino”.

Il secondo punto - che secondo il legale Asgi crea ancora più sconcerto - è che, in questa ordinanza di sequestro, “si parte da una dichiarazione (quella secondo cui il codice di condotta non costituisce una norma giuridica, come è ovvio) salvo poi, nello svolgere il ragionamento, arrivare a concepire una sorta di ‘assioma’: quando una Ong vìola questo codice, allora non potrà avvalersi della così detta ‘scriminante’, che altro non è che una norma sul soccorso che fa sì che un determinato comportamento (favorire l’immigrazione clandestina) non possa essere perseguito penalmente, perché compiuto per soccorrere persone che stanno morendo”. Il giudice di Catania, ha dunque negato a Open Arms il riconoscimento di questa scriminate in virtù di un codice di condotta che, in premessa, ha ammesso lui stesso non avere forza di legge.

Questa argomentazione del giudice - in sé contraddittoria - è infarcita da ulteriori considerazioni che - sulla base di inchieste giornalistiche e di sentenze emesse - sono facilmente smentibili: le persone che attraversano il Mediterraneo possono tranquillamente essere rispedite in Libia, dove non sono affatto sottoposte a trattamento disumano. “Un falso eclatante”, lo definisce Fachile: “sappiamo che chi è soccorso dalla guardia costiera libica, viene riportato nei campi di detenzione del Ministero degli Interni libico dove - come è stato chiarito anche da un’importante sentenza della Corte d’Appello di Milano - le condizioni di vita sono del tutto analoghe a quelle dei campi di concentramento della Seconda Guerra Mondiale”.

C’è poi la questione sollevata dal giudice, secondo cui l’organizzazione spagnola avrebbe dovuto portare a Malta, e non in Italia, i migranti soccorsi, sulla base di una competenza territoriale. Secondo Fachile, “risulta chiaro che la Ong abbia ritenuto - sulla base di precedenti esperienze - che portare a Malta le 218 persone salvate al mare avrebbe significato protrarre la condizione di pericolo, sottoponendole a un’ulteriore attesa prima che i due governi si parlassero (come già accaduto in passato). Malta da tempo pone ostacoli all’ingresso dei migranti sul proprio territorio”.

“Noi riteniamo indispensabile il rispetto delle norme giuridiche nazionali e internazionali, come avveniva prima dell’agosto del 2017. Queste norme autorizzano, anzi, obbligano, almeno in acque internazionali, tutte le imbarcazioni che entrano in contatto con persone in difficoltà a portarle in salvo nel porto più sicuro (definizione che esclude la stessa Malta che ha ampiamente dimostrato di non voler rispettare le norme sul soccorso). L’unica azione da fare”, conclude il legale di Asgi, “è riconoscere la legittimità delle azioni di salvataggio compiute da Ong come da mercantili privati e da chiunque altro, in acque internazionali, in piena osservanza del diritto internazionale, così come è sempre stato. E di abbandonare l’atteggiamento ostile assunto nel nuovo corso”.

Intanto, la risposta dell’organizzazione è stata messa nera su bianco e arriva tramite il suo legale, Rosa Emanuela Lo Faro: "Hanno istituito il reato di solidarietà”. “Cos'è successo alla verità? Si è smarrita senza lasciar traccia”, cantava Gary Go in “Open Arms”.

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