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Ha ragione il Governo italiano, cioè, il Ministro Salvini, o la Sea Watch 3, dopo la decisione di ieri pronunciata dalla CEDU? “Ragione”, significa diritto; diritto, legittimità dell’azione di Governo e del suo rifiuto di aprire i porti anche a quell’imbarcazione. Il Ministro Salvini ha dichiarato trattarsi di “saggia decisione”. Saggio, probabilmente, sarebbe stato leggere il provvedimento.

Come si sa, la CEDU, si è limitata a considerare una richiesta di “Misure Provvisorie”, avanzata dal Capitano Carola Rackete “et autres”, cioè i migranti presenti sulla nave. Tali “Misure Provvisorie” implicano il pericolo di un “danno irreparabile” alla persona, secondo l’art 39 del Regolamento CEDU, richiamato nella decisione. E, poichè, rileva la Corte, già il giorno 15 Giugno, dieci migranti, fra donne incinte e minorenni, che versavano in quelle condizioni, erano stati fatti sbarcare, per gli altri non si sono ravvisati pericoli imminenti di questa natura. Perciò, la richiesta di Misure Provvisorie non è stata accolta.

D’altra parte, ancora scrive la Corte, analogamente, già il TAR Lazio, il 19 Giugno non aveva accolto la richiesta di una cd sospensiva (vale a dire: di sospendere l’efficacia del provvedimento negativo: il “non apro i porti”), rilevando la medesima circostanza: l’avvenuto sbarco delle dieci persone ritenute in pericolo.

Ora, fin qui, non è detto nulla sulle “ragioni” del Governo italiano. E, sembrerebbe, neanche dopo, data la natura del provvedimento. Sicchè, alla domanda iniziale, non pare possa darsi risposta. Ma si può ampliare il quadro, e forse qualcosa si trova.

Stiamo cercando quello che nel diritto interno si chiama (scusate) fumus boni iuris, cioè, più o meno, avvisaglia, profilo generico ma riconoscibile, di un “buon diritto”; cioè, nel caso, di una “bontà” o fondatezza della richiesta in termini “sostanziali” e non di mera “urgenza processuale”. Sia pure in via “provvisoria”, quanto al suo “diritto”, (e, correlativamente, a quello che intenderebbe negare Salvini), cosa ha sostenuto Sea Watch? Roba forte, come sempre dinanzi alla CEDU: violazione dell’art 2 (diritto alla vita) e dell’art. 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) della Convenzione (che è l’atto normativo fondamentale della stessa Corte).

Consideriamo alcuni elementi. In Primo luogo, la Corte, non decide sulle richieste di Misure Provvisorie con manica larga. Tutt’altro. Basti pensare che nel 2013, su 1588 richieste, 663 sono state ritenute “fuori art. 39”. Ha esaminato le rimanenti 925, poco più della metà. Perciò, per il solo fatto di essere ritenuta pertinente ad un giudizio “di urgenza”, la richiesta, per lo meno, non deve essere peregrina. Si potrebbe tuttavia obiettare che, così, siamo ancora sul piano della “urgenza” e non del “merito”: dei “porti chiusi”, per intenderci.

Sì e no. Infatti, le Misure Provvisorie, cioè, questo famoso art. 39, sono in stretta - si potrebbe dire: intima - connessione con l’art. 34 dello stesso Regolamento. Vale a dire, con la norma che disciplina il ricorso individuale “nel merito”. Ora, il ricorso individuale postula la formale qualità di “vittima”, nel ricorrente. La connessione, pertanto, è rispetto ad una condizione plasticamente rilevante come quella espressa da quella parola.

Ed è tale, questa connessione fra il “provvisorio” e “il merito”, che pure nel caso in cui la Misura Provvisoria sia stata richiesta senza la contestuale presentazione del ricorso “principale”, viene aperto dalla Corte, d’ufficio, un fascicolo relativo: a nome di chi ha agito in via d’urgenza, ma non (ancora) in via “di merito”

Abbiamo, perciò, due “indizi” rilevantissimi, in seno alla questione che ci siamo posti (Salvini, sì, Salvini, no). Uno è che una richiesta ex art. 39 Reg CEDU, deve sempre fondarsi sul rischio di una violazione irreparabile dei Diritti Umani. Il secondo è che chi agisce ex art. 39, è già intravisto come “vittima”, ai sensi dell’eventuale ricorso a norma dell’art 34. (merito).

In sintesi: i Diritti Umani (qui: Diritto alla vita e Diritto a non subire trattamenti inumani e degradanti) dei migranti di Sea Watch 3, pur formalmente assenti dalla decisione sulle Misure Provvisorie, tuttavia, hanno battuto un colpo. Non per nulla, la Corte ha espressamente precisato che è responsabilità del Governo italiano “assicurare continua assistenza alle persone a bordo della Sea Watch 3 che, per età e per condizioni di salute, risultino vulnerabili”.

Dunque, la “scia” politica di questa decisione è la seguente: poteva, la Corte, decidere che l’art 39 non c’entrava, e non lo ha fatto; poteva decidere che c’entrava, ma limitarsi a rilevare che non c’era urgenza, e non lo ha fatto, vista la precisazione sulle perduranti responsabilità italiane appena riportata.

Il Ministro Salvini, più volte, ha affermato trattarsi di faccenda per tedeschi (considerando la nazionalità del Capitano Carola Reckete), oppure per olandesi (considerando la nazionalità “di bandiera”); da Strasburgo, gli hanno fatto sapere che invece spetta all’Italia. Una smentita così testualmente e autorevolmente clamorosa su “chi deve fare cosa”, e su “chi è cosa”, misura una statura politica minima, quasi invisibile. Mista di vaniloquio e di viltà gradassa sciorinata sugli inermi.

Minima almeno, quanto grande è sempre quella di chi, suo malgrado, con l’immediatezza dell’intelligenza umana, ma non smentita dalla vincolata ponderazione di quella giuridica, può fregiarsi della qualità di vittima.