Greenpeace è un'organizzazione che ha basato, da sempre, la sua attività sulla convinzione che il consenso autorizzi a violare qualsiasi regola. Dagli assalti alle baleniere alla distruzione dei campi Ogm fino all'ultima, enorme sciocchezza dell'altro giorno – il danneggiamento delle linee di Nazca in Perù - la storia di Greenpeace è fatta di questo: azioni violente e autocompiacimento per l'impatto che queste azioni hanno sull'opinione pubblica. La teoria e la prassi del bullismo.

nazca

Non sorprende quindi che, anno dopo anno, gli attivisti e i dirigenti di Greenpeace si siano convinti che a loro tutto sia concesso, e che la bontà (reale o apparente, conta poco) delle proprie rivendicazioni trascenda qualsiasi limite di legge e di buon senso.

Entrare nottetempo nell'area archeologica del deserto di Nazca alla quale nessuno, neanche le autorità politiche peruviane, può accedere senza una speciale autorizzazione e senza indossare calzature speciali che non compromettano lo strato di pietrisco friabile che la ricopre, usare il celebre geoglifo del colibrì come sfondo per scrivere una banalità sul clima con rotoli di plastica gialla e procurare danni, pare molto seri, a un monumento sopravvissuto intatto per (almeno) 1500 anni, prima di essere un atto contro la legge è un atto contro il buon senso. Un'azione profondamente idiota e offensiva, prima ancora che illegale.

Ma d'altronde anche chi, con un pennarello o un punteruolo, scrive una dedica d'amore sulla colonna di un tempio di Paestum se ne frega della legge e del buon senso. L'unica cosa che conta è colpire il cuore dell'amata e sarà la sua reazione a dirgli se ha fatto bene o ha fatto male. E così è stato l'entusiasmo che le prime azioni aggressive di Greenpeace hanno suscitato nell'opinione pubblica ad averli indotti ad insistere, ad alzare il tiro, in una escalation (chi vuoi che si meravigli più di uno striscione calato da una ciminiera, ormai) che ha portato direttamente alla vandalizzazione delle linee di Nazca.