Gli intellettuali italiani allo specchio del populismo
Terza pagina
Foto di Wolfgang Achtner
Giovanni Orsina ha il grande merito di affrontare sull’Espresso una questione attualissima, sulla quale occorrerà del tempo per arrivare a un bilancio: come escono gli intellettuali dalla vittoria dei populisti alle elezioni? Ora, d’accordo, si potrebbe questionare sul quid iuris di questo ambiguo modello togliattiano, come dice peraltro lo stesso Orsina: “intellettuali e popolo” mi piace poco. Ma è vero, come dice Orsina, che gli intellettuali hanno fatto flop. Credo però per ragioni diverse da quelle che leggo nell’editoriale.
La tesi di Orsina mi pare si possa così riassumere: “gli intellettuali” avrebbero perso il rapporto con “il popolo”, perché la sinistra, “non potendo più contrapporre all’identità nazionale e alle sue tradizioni l’identità di classe”, “s’è dedicata alla decostruzione di ogni identità”. Così, l’equazione intellettuali = sinistra = astrazione = distruzione identitaria non è da intendersi come l’essenza della sinistra, ma come la corruzione (nel senso antico, per capirci, aristotelico) della sinistra originaria oramai “orfana del proletariato, dell’utopia comunista, del keynesismo, e in buona misura pure del welfare state”.
Insomma, scissa da se stessa, senza più riferimento all’identità di classe, la sinistra intellettuale avrebbe continuato a decostruire l’identità, allontanandosi dal “comune sentire” del “popolo”, dedicandosi “all’estensione dei diritti individuali” e all’”accelerazione dei processi d’integrazione sovranazionale”. Ora però – e lo dico con il rammarico di un individuo felicemente atomistico, gioiosamente scisso e progressista – il mondo intellettuale di sinistra non sembra affatto così globalista, internazionalista e liberale. Il sovranismo ha distrutto la sinistra nutrendosi dei suoi temi antiliberali e radicalizzandoli.
Facciamo un passo indietro. I vincitori delle elezioni non sono il popolo rozzo, scisso dagli intellettuali. Il M5S ha un rapporto – fedele o infedele, ma comunque un rapporto – con l’antiberlusconismo degli unici intellettuali rimasti che siano assimilabili al modello dell’“intellettuale impegnato”. Il Fatto Quotidiano viene fondato dal gruppo che veniva da quello che è stato il tempio dell’intellettualità impegnata: L’Unità di Gramsci, che allora era diretta da Furio Colombo; c’erano Marco Travaglio e tanti altri. È l’epoca di Sabina Guzzanti e di Enzo Biagi, del grande Tabucchi, delle censure di Berlusconi, del “Regime” e dei Girotondi, dell’urlo del buon Nanni Moretti a piazza Navona. Su Il Fatto comincia a scrivere anche Alberto Bagnai, l’economista e parlamentare della Lega anti-euro, autore di un libro che ha straveduto, e che viene seguito da tanti lettori-sostenitori.
Nanni Moretti non è il “padre” dei grillini, ci mancherebbe: anzi più volte Moretti si è espresso criticamente su Grillo. Gli intellettuali non sono del resto, se sono intellettuali, un blocco (da qui anche l’aspetto dell’ambiguità del “modello togliattiano”). Tuttavia, non si può dire che il M5s sia un partito viscerale, distaccato dal “ceto intellettuale”, come, invece, scrive Orsina. C’è anche un momento topico: i militanti 5s in giro per Roma ad urlare il nome di Stefano Rodotà per candidarlo “dal basso” alla presidenza della Repubblica. C’era la militanza del Nobel Dario Fo. Si può aggiungere a questo quadro, la macroscopica continuità tra la famosa “certa sinistra” e l’antieuropeismo sovranista (noglobal e/o nazionalista) che si ritrova nella Lega e M5s.
In sintesi, l’opposizione “popolo rozzo e viscere” e “cultura alta” non funziona. D’altra parte, non funziona neanche il rapporto di causalità diretta tra intellettuali e popolo. Questo per tante ragioni, che sono peraltro intrinseche al modello “scrittori e popolo” (limiti del modello causale per i fatti culturali; “gli intellettuali” non sono “uno” e non sono “una” causa; nell’effetto non si ritrova la causa). La “questione morale”, poi, non basta.
Allora? Allora il punto di vista va rovesciato. Alle elezioni non è uscito vincente il "popolo senza gli intellettuali", ma un’ideologia che ha travolto la sinistra nel suo punto debole. L’antiliberalismo rosso-bruno è lo specchio ideologico che restituisce un’immagine imbarazzante di una certa cultura politica di sinistra, che si scopre “di destra” e/o “populista”. Se utilizzassimo il modello ambiguo “scrittori e popolo”, avremmo un esito paradossale: non è l’intellettuale che porta il “popolo” alla coscienza di se stesso, ma sono questi movimenti populistici che rivelano le contraddizioni di un mondo intellettuale.
Parafrasando Shakespeare, il populismo rosso-bruno è una parodia, ma con una logica, di quanto di illiberale c’era già in tanta “cultura alta”. Intere biblioteche di saggistica dalla vocazione apocalittica hanno ripetuto il plot del sistema liberale finanziario, globalista, che distrugge “il popolo”, espropriandolo e manipolandolo biopoliticamente alla Foucault & C. Dalla saggistica alla televisione: un luogo comune, senza controparte. Era un tema della “sinistra” ma, come Frankenstein, si è affrancato. La nuova attesa della palingenesi si serve delle dottrine di un tempo, ma non si riconosce in esse.
Come ogni ideologia palingenetica moderna, anche questa ha una sua aspettativa di benessere universale affidata ad un’economia finalmente riscattata dall’imbroglio dei potenti. L’economia dei numeri che sono numeri, invece, è bollata come mainstream: un inganno del potere, che punta a distruggere la società. L’economia è solo politica. Pubblicazioni rispettabili offrono a piene mani risposte passe-partout che mettono all’origine di ogni Male il “neoliberalismo”, il pressante “totalitarismo della tecnica”, la “deriva dell’Occidente” (terra del tramonto e del nichilismo), la “società liquida”. A legare tutto, un complottismo ben agghindato, che non sfigurerebbe (e non sfigura!) nelle edizioni Gallimard (ah! aveva ragione Umberto Eco).
Milioni di pagine hanno denunciato il “tradimento dell’establishment”, che avrebbe confiscato la Democrazia Originaria e Pura, quella del “gruppo in fusione”, alla Sartre, che ora si fonde nella democrazia diretta di internet, sulla piattaforma grillina Rousseau. Il Manifesto di Salvini rispecchia questa letteratura: “non esistono destra e sinistra, esiste solo un popolo contro l’élite”. Salvini denuncia anche un "piano" per distruggere biologicamente gli italiani: potrebbe essere una citazione colta.
I movimenti populisti sono diventati, in realtà, lo specchio al tempo stesso fedele e deformante di un “pensiero critico” che di “critico” non aveva niente. “Gli intellettuali” – o meglio, alcuni intellettuali – hanno fatto flop non perché "altri dal popolo", ma perché la loro era una vocazione populista. Priva dell’identità di classe, a questa sinistra è rimasto il populismo.