I corsi e ricorsi del populismo italiano
Istituzioni ed economia
Karl Popper inorridirebbe sicuramente, ma quanto si va delineando nel panorama politico italiano farebbe cadere nella rete della suggestione dei cosiddetti "corsi e ricorsi storici" anche il più fedele seguace del filosofo austriaco.
Era infatti il 1993 quando alla vigilia di una tornata amministrativa - peraltro la prima che vedeva sperimentare l'elezione diretta dei sindaci - si apriva il cantiere delle proposte alternative all'allora classe politica dirigente e dominante, spazzata via da Tangentopoli. Era l'anno dell'exploit dei candidati "antagonisti" della Lega Nord e del Movimento Sociale che, riscuotendo consensi insperati e inimmaginabili solo qualche mese prima, conquistavano il comune di Milano con Marco Formentini e arrivavano al ballottaggio a Roma e a Napoli con Gianfranco Fini e Alessandra Mussolini.
Da lì in poi è storia: endorsement del Berlusconi imprenditore in favore di Fini e apertura del cantiere politico del centrodestra italiano in vista delle prime elezioni con il sistema maggioritario, mentre la sinistra di Occhetto metteva a punto la sua "gioiosa macchina da guerra" e il centro persisteva nel considerarsi qualcosa di più di un semplice luogo geometrico.
Tante, troppe analogie ci sono tra la situazione politica attuale e quella del '93 per non cedere alla tentazione di evidenziarle.
In primis la genesi dei soggetti politici che sembrano candidarsi al ruolo di nuova classe dirigente: allora, forti del mancato coinvolgimento nel cuore del malaffare, ma anche del loro non aver mai governato (forse il primo aspetto era diretta conseguenza del secondo), riscuotevano consenso cavalcando gli istinti meno nobili di una società ormai esasperata che, seppur complice e mandante fino al giorno prima, si era messa improvvisamente a lanciare monetine all'indirizzo del potente ormai detronizzato o a gridare "Roma ladrona!"; oggi, forti del mancato coinvolgimento negli scandali e del continuo e sistematico tirarsi fuori da ogni forma di dialogo politico-istituzionale (alcuni), o abili nel far perdere le tracce di una recente e duratura esperienza governativa locale e nazionale (altri), cavalcano gli stessi istinti e lo stesso malcontento popolare - del quale, in alcuni casi, sono stati essi stessi artefici con le loro precedenti azioni amministrative che solo adesso dispiegano i loro effetti a medio/lungo termine.
In secondo luogo il contesto politico-sociale: allora era l'alba di un nuovo riassetto istituzionale dato dai referendum elettorali promossi dai radicali; oggi è la vigilia di un nuovo assetto istituzionale dato dalle modifiche costituzionali e, soprattutto, dalla nuova legge elettorale.
Allora come oggi, il centrosinistra, forte anche della scuola politica delle anime che lo compongono e dell'esperienza governativa maturata soprattutto sul territorio, anticipava le mosse organizzandosi prima degli altri e individuando figure politiche capaci di far sintesi: oggi Matteo Renzi ha egemonizzato quella parte politica, mentre il centrodestra persevera in una disperata ricerca di sintesi e leadership.
Leadership che, mentre appare chiara per una destra lepenista e orbaniana che ha ormai individuato in Salvini il proprio centravanti, è ancora lungi dall'esistere per un centrodestra liberale di stampo europeo. Insomma, oggi manca un Berlusconi che, con ampi mezzi e indubbia capacità di comando, possa fare da collante e dare così al centrodestra italiano la possibilità di contendersi il governo del Paese con il centrosinistra e il Movimento 5 stelle.
Sembra che anche stavolta, all'alba di una nuova era politica, la ricomposizione del panorama nazionale debba passare nuovamente attraverso un big bang causato non da elezioni nazionali, ma da un appuntamento elettorale minore che, come nel '93, vedrà figure di primissimo piano e tutte le energie di partiti e movimenti impegnate a confrontarsi nelle elezioni amministrative delle maggiori città italiane.
Dato per scontato che a sinistra la leadership di Matteo Renzi resti blindata e indiscutibile, si aprono scenari interessanti sul fronte delle attuali opposizioni: potrebbe essere la prima vera, forte e significativa affermazione per il Movimento 5 stelle che rischia di conquistare Roma, ma anche Napoli; potrebbe essere l'occasione per un nuovo tycoon di lanciare l'OPA sulla destra, magari appoggiando Matteo Salvini a Milano e Giorgia Meloni a Roma, per poi incasellarla, photoshoppandola (la destra, non la Meloni), in un centrodestra elettoralmente più spendibile.
Ma potrebbe anche darsi che stavolta, spingendo sempre più il confronto politico sul terreno dello scontro populistico e demagogico, dello slogan facile e del pensiero breve, sia la destra lepenista-salvinista a "sdoganare" qualche aspirante nuovo Berlusconi, relegandolo però al ruolo di comprimario in un destra-centro con l'apporto di una percentuale elettorale risicata ma assolutamente necessaria per vincere le elezioni politiche nella logica dell’Italicum.
“Non possiamo predire il corso futuro della storia umana”, diceva Popper a ragion veduta. Forse, però, se oggi potesse aver conto della situazione italiana, un euro sul prossimo ventennio politico deciso e delineato nuovamente da un ballottaggio alle elezioni amministrative potrebbe scommetterlo.