Addio a Burt Reynolds che concepì Lewis, il protogrillino
Terza pagina
Lewis sapeva tutto. Sapeva che la civiltà sarebbe finita di lì a poco, sapeva che l’uomo avrebbe dovuto tornare cacciatore per procurarsi da vivere, soprattutto sapeva come fare. Piglio virile, aveva convinto tre amici anestetizzati dalle comodità del progresso a liberarsene per un weekend, e se li era portati dietro in una valle inospitale, dentro a un torrente pieno di rapide e circondato da cecchini autoctoni armati di dentiera e di fucile. Mentre bestemmiava contro chi stava distruggendo la natura per costruire una diga alta “diecine di metri”, dalla natura spuntavano pallottole, mostri ed autosuggestioni ancora più mostruose. Alla fine dei quattro ne tornavano solo tre, e per uno strano destino il maschio risolutore Lewis era quello messo peggio, portato in salvo dai suoi impacciati compagni di gita, infine probabilmente felice anche lui di ritrovare un letto, la luce elettrica, il disinfettante, ovvero il mondo civile.
“Un tranquillo weekend di paura” fu il più importante film di Burt Reynolds, morto la settimana scorsa, e il personaggio di Lewis resta un’icona, non solo cinematografica, che i tempi correnti rendono ancora più interessante. Lewis non si fidava di niente e nessuno. Come sentiva continuamente fruscii nella foresta vedeva pure ovunque il bieco interesse economico, e con esso il tradimento di ogni vincolo sociale e prima ancora dell’idea di umano. Valori da riscattare che per lui spesso trascendevano in un affronto da vendicare. In una scena iniziale, mentre tende l’arco contro un pesce che affiora a pelo d’acqua, pronostica al socialmente inserito Ed (Jon Voight) la fine delle macchine, il ritorno allo stato ferino, un’apocalisse tutto sommato romantica. L’altro lo fissa con uno sguardo di maniera, tra il sarcastico e l’ammirato.
Perché è vero che Lewis dice un sacco di cazzate, ma in fondo è credibile proprio perché ci crede. Mentre Ed non dice quasi niente, e probabilmente neppure si pone il problema di avere opinioni, più che rassicurato da quelle altrui. L’uno sprofondato nell’artificialità confortevole del mainstream, l’altro proiettato nella rivincita del naturale come ideologia manifesta e inevitabilmente spietata, questi due personaggi rappresentano oggi molto più di allora (1972) la netta divaricazione sociale e culturale di una società che vede crescere la sua precarizzazione.
Dove Ed l’inserito è esso stesso “il sistema”, che del resto gli va benissimo com’è, Lewis trasuda - oltre ai valori di cui parla continuamente - una rabbia ed una frustrazione che sembrano inconsolabili. Non provare neppure a dargli ragione, lui la sposterà qualche metro più in là (“Dici bene Lewis, qui c’è qualcosa che abbiamo dimenticato” “Cosa? Non dimenticato, distrutto!”).
Difficile non cogliere in quest’ultimo i caratteri piuttosto precisi di quello che potremmo definire “protogrillismo”: dove il sospetto, il catastrofismo, un ambientalismo più emotivo che razionale, fino al fondamentale, drammatico principio dell’“uno vale uno”, trovano piena rappresentazione. Una rappresentazione che lo rende naturalmente leader, in particolare quando la situazione precipita. Al cospetto del suo impeto moralizzatore e riparatore scompaiono infatti le già sbiadite figure del conservatore Bobby (Ned Beatty) e del pedante progressista Drew (Ronny Cox).
Il primo provoca e insulta i bifolchi della valle solo quando si sente forte della protezione del gruppo, ma appena resta da solo non regge uno scambio verbale e neppure uno sguardo, e ogni volta torna sui propri passi - letteralmente - a cercare la protezione dei compagni. Ci ricorda tanto i leoni da tastiera che, spietati nella solitudine di casa, diventano improvvisamente miti a tu per tu con l’oggetto delle loro contumelie. Il secondo è un idealista progressista che finisce inevitabilmente con il risultare insopportabile, preso com’è a separare sempre il giusto dallo sbagliato e i buoni dai cattivi, anche nelle situazioni più drammaticamente urgenti. Tolta la scena del Banjo Duel, dove è comunque comprimario, non è mai al centro di nulla.
Quando Lewis uccide un villano per salvare Ed e Bobby da morte certa, Drew è l’unico a voler denunciare il fatto all’autorità anziché sotterrare il corpo. Promette solidarietà al compagno responsabile del delitto, ma si intuisce lontano un miglio che al futuro processo lo scaricherà dichiarandosi estraneo ai fatti. Poi Lewis mette ai voti (uno vale uno), Drew perde e dopo poco muore; ma un po’ come capita alle moderne socialdemocrazie non si capisce se lo ammazzino o si suicidi.
Insomma, se Bobby e Drew sono la destra e la sinistra tradizionali a cui non crede più nessuno, perché oggettivamente non più credibili, Lewis è un mitomane logorroico e aggressivo che tuttavia ha il pregio di fare. Fa quando guida il gruppo nel fiume; fa quando non esita ad ammazzare per aiutare i compagni; fa anche quando afferra al volo la situazione nell’ultima scena del film, in cui i nostri devono cambiare il proprio alibi con la polizia. È solo per questo che gli si perdona di aver portato tre disgraziati, la cui meta più avventurosa di sempre è stata probabilmente il pub sotto casa, a schiantarsi sulle rocce e a farsi sparare in mezzo ai monti Appalachi.
C’è da augurarsi che il grillismo di cui ci è parso avanguardia erediti anche la sua medesima vocazione al problem solving, per quanto frenetica, rumorosa e scomposta. Detto questo sarebbe interessante capire, in questo gioco abbastanza improbabile, cosa e chi rappresenti l’inafferrabile personaggio di Ed, figlio disincantato e un po’ triste di un ceto medio sempre più marginale. Che sia un elettore senza fissa dimora è certo, che manchi di passioni anche. Ma è un fatto che alla fine la salvezza e la “liberazione” di cui parla il titolo originale ricadono sulle sue spalle. E lui, messo alla prova nel momento più difficile, vince la sfida, portando a casa la pelle.
Dovunque lo si collochi Ed è l’uomo inserito e al tempo stesso alienato dei nostri tempi, che guarda a tutti con apparente indifferenza. Tutti incluso se stesso. Avrebbe tanto bisogno di qualcosa in cui credere, e anche della voglia di crederci. Come Lewis il protogrillino.