E’ facile, e fin troppo ovvio, dire che le Iene hanno sbagliato. Ma sul caso Stamina ha commesso errori anche chi avrebbe dovuto informare correttamente. A cominciare dall’errore più grave: rimanere in silenzio per mesi, lasciando campo libero alle trasmissioni di intrattenimento.

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Mi dice: dai, tu che insegni comunicazione della scienza, e hai persino scritto un manuale di comunicazione, dai dicci secondo te che cosa c’è stato di sbagliato nel caso Stamina! E io penso: tutto. Ma l’articolo sarebbe troppo breve, e anche la lusinga. Quindi proviamoci, col ditino alzato come da richiesta.

È facile dire che le Iene dal punto di vista della comunicazione della scienza hanno sbagliato. Ma non dimentichiamo che il loro obiettivo non era quello di comunicare la scienza. E in ogni azione comunicativa la prima cosa che uno si deve chiedere è perché lo faccio? Discende da qui la scelta del target, e poi del taglio, del lessico, delle immagini e di tutto quello che serve per confezionare una storia. Loro volevano fare ascolti e ci sono riusciti alla grande.

Parliamo un attimo anche di questo. Tutti i programmi televisivi devono fare ascolti, la differenza è che un programma come le Iene questo obiettivo lo raggiunge costi quel che costi, anche se di mezzo c’è la dignità di un bambino. Per me (e non solo per me) questo non è etico, e dire non è etico serve a evitare di dire parolacce. Adesso però facciamo finta di essere ingenui, sennò di nuovo l’articolo rischia di chiudersi qui. E facciamo finta di credere davvero che le ventuno (ventuno) puntate delle Iene su Stamina fossero guidate dalla buona fede.

Intanto un errore comune e tipico delle trasmissioni del genere Io-ti-dico-la-verità-che-il-potere-ti-tiene-nascosta (siano trasmissioni di impostazione commerciale e culi e veline o siano di impostazione militante e facce di sinistra e giustizieri della notte) è quella di far credere che il sedicente scienziato eterodosso sia un perseguitato. Un caso tipico è il tale che, a terremoto avvenuto, sostiene di averlo previsto ma di non essere stato ascoltato: gli scienziati (a volte colleghi) lo spernacchino pure, tanto arriverà presto una telecamera con dietro un solerte giornalista intenzionato a capirci di più. Poi c’è il tale che ha inventato una tecnologia per produrre energia pulita e quello che ha una macchina per fare diagnosi di cancro senza toglierti i vestiti.

In genere l’eterodosso è semplicemente un ciarlatano. Il solerte giornalista potrebbe riconoscerlo come tale perché costui parla di scienza ufficiale ma della scienza-e-basta non rispetta nemmeno le regole di base: perché non ha confronti con gli scienziati veri ed è desiderosissimo di andare in tv. Oppure perché è uno scienziato che ha perso i legami con la sua comunità, o ce li ha ancora ma è isolato e ha tanto, tanto, l’aria di uno con un secondo fine, molto umano, come la vendetta o il rancore. Potrebbe riconoscerlo anche telefonando a un collega che di mestiere fa il giornalista scientifico, potrebbe ma si rovinerebbe uno scoop.

Va anche detto che il ciarlatano può credere di essere dalla parte del giusto. In questi casi, se sembra sincero è perché (un po’) lo è. Nonostante ciò spesso non disprezza un aiuto economico, meglio se da parte di privati cittadini. Prendete l’altro tizio che dice di prevedere i terremoti: può aprire la sua fondazione e rivolgersi ai piccoli comuni come consulente. Forse ci crede davvero, forse un po’ ci marcia: difficile dire dove sia la differenza, e anche poco interessante visti i danni che fa.

Nel caso Stamina la vicenda è stata così clamorosa (il protagonista ha persino Guariniello alle calcagna, e da anni) che non ci volevano le regole di un manuale di comunicazione della scienza per sospettare che non fosse proprio una storia limpida. La comunità scientifica, quando ha dovuto, si è espressa in modo univoco e chiaro. E se è vero che alcuni scienziati a volte hanno conflitti di interesse (ok, a volte è vero), quando la maggior parte degli scienziati dice A mentre uno solo, per di più nemmeno laureato in scienze, va a dire Z in tv, bisogna avere l’umiltà di chiedersi se non ci sia una ragione. Tipo che Z è una cazzata. E poi scoprire che l’umiltà spesso ci azzecca e Z è una cazzata davvero.

Ma no, qui il giornalista pervicace ha voluto vedere il complotto, altro tipico errore del giornalista giustiziere (e alla sua buonafede a questo punto non ci credo manco morta). E lo ha voluto vedere perché ha una tesi, e sta cercando di dimostrarla. Nel giro lo chiamiamo giornalismo a tesi ed è un difetto molto italiano. Nella scienza il risultato del giornalismo a tesi spesso sfiora il ridicolo, perché la scienza per definizione si basa sul dubbio, l’esperimento e il confronto.

Un altro difetto molto italiano è quello della par condicio a tutti i costi per cui il giornalista per sentirsi onesto ci tiene a sentire l’opinione di un pro e un contro, come se esistessero due parti di pari dignità anche se una è rappresentata da un italico venditore di sciroppi magici e l’altra da migliaia di scienziati con milioni di pubblicazioni in inglese. Ai tempi del referendum sulla legge 40 capitava di assistere a dibattiti del tipo: un cardinale versus un biologo molecolare, una filosofa da salotto televisivo versus una genetista dall’H index stratosferico. Epperò si diceva che erano le due campane e andava bene così.

Altri errori nel caso Stamina raccontato dalle Iene sono stati l’uso delle parole e delle immagini, che trasportavano tutta la vicenda su un piano emotivo e disperdevano le argomentazioni scientifiche. L’idea propalata con vigore che i miglioramenti di una malattia si vedano a occhio nudo o che la mamma sia il miglior clinico per un bambino. E l’orrendo montaggio, che non permetteva di vedere niente, sentire niente, capire niente, se non le faccette simpatiche e allusive del presentatore. Ma a questo punto siamo quasi sul veniale. Tutto questo, nel caso specifico, costituirebbe un esempio meraviglioso di come non si deve comunicare la scienza, ma ricordiamoci degli obiettivi. Se l’obiettivo non è comunicare la scienza, è inutile fare le pulci ai programmi tv in cui un bambino veniva esposto in prima serata e dichiarato migliorato solo perché in tuta invece che in pigiamino e un pochino cresciuto (come è normale) rispetto a qualche mese prima.

Chi invece voleva, o avrebbe dovuto comunicare la scienza, ha probabilmente commesso un altro errore, grave. Cioè per mesi non ha fatto niente. Nel caso Stamina dobbiamo ammettere che sono stati gli scienziati a dare l’allarme e a lungo sono stati i soli a fare il vero lavoro di indagine andando a cercare articoli, domande di brevetto e magagne varie. I giornalisti italiani (compresa la sottoscritta) hanno cominciato a muoversi davvero solo dopo che sono arrivati Nature e la comunità scientifica internazionale.

Così per mesi la situazione è stata dominata dalle trasmissioni di intrattenimento televisivo come quella di cui sopra, impegnate nella comunicazione emotiva da boom di ascolti. Non solo: quando in queste trasmissioni venivano messi di mezzo gli scienziati, per la questione della par condicio di cui sopra, questi si mostravano soli e molto poco ferrati sulle regole della comunicazione, e soprattutto pronti all’incazzatura o fin troppo algidi nelle loro spiegazioni. Così la tv gongolava nel poter mostrare l’arida medicina ufficiale versus il benefattore incompreso e la sua compassione.

Intanto abbiamo avuto a lungo pochi articoli sui giornali, pochi e soprattutto poco incisivi (con qualche eccezione che però non fa primavera): praticamente nessun lavoro di ricerca giornalistica e nessuna denuncia da parte di chi dovrebbe essere watchdog per mestiere. La temperie ha cominciato a cambiare intorno all’estate e il vento è girato decisamente solo intorno a Natale quando i grandi quotidiani nazionali (la Stampa in testa) hanno preso a battere soprattutto sugli aspetti giudiziari della vicenda Stamina.

Oggi il caso mediatico appare volto a conclusione, ma di certo non lo sono quello giudiziario e quello politico. Perciò, anche se presto i programmi televisivi di intrattenimento dovessero cessare di parlare di Stamina, dobbiamo tenere alta la guardia soprattutto su un punto critico di tutta la vicenda, che è quello che riguarda il controllo dei farmaci e le sue regole. Servirà tutta la nostra attenzione e la nostra capacità di critica, anche se non ci saranno più poveri bambini in pigiamino esposti alla berlina delle nostre tv.