C'è un sondaggio che viene ciclicamente riproposto, più o meno ogni anno, i cui risultati evidenzierebbero una certa ignoranza dei bambini in fatto di alimentazione: una bella fetta degli intervistati pensa che l'insalata cresca sugli alberi e che le uova vengano raccolte direttamente dagli scaffali dei supermercati. Si tratta di bambini, i risultati sono tutto sommato divertenti, e il sondaggio ha sempre, a ogni edizione, un buon successo sui social media, che sono i luoghi ideali per bullarsi del prossimo. Ma quei bambini, probabilmente, sono figli di quegli adulti che in questi giorni, grazie a un'inchiesta della trasmissione Report nel merito della quale non entriamo in questa sede, stanno cadendo a frotte dal pero alla scoperta che le piume d'oca provengono dalle oche.

oche

C'è una distanza sempre più grande e profonda tra la grande massa dei consumatori e i processi produttivi dei beni a loro destinati. Una distanza prima di tutto fisica, quando si tratta di lavoro agricolo, lontano dalle città, o quando la produzione viene delocalizzata in un chissaddove qualsiasi, lontano dagli occhi come dal cuore. Una distanza che viene spesso colmata dall'idealizzazione di una realtà che non esiste, che non esiste o più o che più probabilmente non è mai esistita, assecondata dal marketing delle imprese che tendono a nascondere il lato meno commercializzabile delle loro produzioni. La realtà del Mulino Bianco, per capirsi, quella in cui Antonio Banderas parla con la gallina, i bambini corrono felici sui prati, c'è una mucca viola che fa il cioccolato, e in cui le piume d'oca... da dove vengono le piume d'oca?

Non so se la piuma d'oca sia mai stata, come molti si illudevano che fosse ancora oggi, un residuo della macellazione riutilizzato nel tessile, oppure se sia sempre stata una materia prima con una filiera produttiva dedicata. E' un problema che chi oggi riversa la sua rabbia contro Moncler non si è nemmeno posto, né prima della trasmissione, né soprattutto dopo, quando sarebbe ormai doveroso farlo. Ma le norme sul benessere degli animali d'allevamento, anche quando sono più restrittive e severe di quanto non fossero in passato, non possono che basarsi sulla realtà, anche quella difficile da rappresentare in uno spot publicitario, non sulle sue approssimazioni ideologiche o idealistiche, né sulle nostre personalissime schizofrenie: chi oggi dice, con incrollabile sicurezza, che bisognerebbe spiumare solo oche morte, sta dicendo forse che le si dovrebbero tutte abbattere alla prima muta?

La sofferenza degli animali non è certo un fatto ineluttabile, e lo dimostra il fatto che oggi, anche nei famigerati allevamenti intensivi, gli animali soffrono molto meno di quanto non soffrissero in passato nei tanti Mulini Bianchi della nostra civiltà contadina da museo. Ma a questa sofferenza ognuno di noi si rapporta in maniera diversa, secondo il proprio metro e la propria scala di valori, che alla fine risulta inevitabilmente contraddittoria: chi scrive, tanto per fare un esempio, dorme sotto una trapunta in piuma d'oca, ma non ha mai mangiato del foie gras per le stesse ragioni per le quali oggi molti invocano il boicottaggio di Moncler.

C'è un'intero mondo di suggestioni che viene strappato violentemente e dolorosamente via, insieme alle piume delle oche dell'Ungheria, ogni volta che si apre una finestra sulla realtà, provando a chiudere, al tempo stesso, quella sul proprio cortile di illusioni. Ed è questo lo strappo che fa più male, e che provoca le reazioni più sguaiate. Al resto tutto sommato ci si abitua, basta qualche capro espiatorio, e soprattutto raccontarsela bene.

@LaValleDelSiele