Ieri sera Report ha dedicato un lungo servizio all'olio di palma. Ogni volta che Report, nella sua lunga storia, ha parlato di cibo e di alimentazione, lo ha fatto con molta approssimazione, dando più che altro spazio a tesi complottistiche precostituite, e lanciando allarmi spesso infondati. La puntata di ieri sera non ha fatto eccezione alla regola e le imprecisioni, anche grossolane, sono state molte.

olio di palma

Le palme al posto delle foreste. E' stato il centro del servizio, ed è la questione che merita obiettivamente più attenzione: secondo Report la coltivazione dell'olio di palma non sarebbe sostenibile perché per fare spazio ai palmeti si sacrificano porzioni di foresta tropicale. L'impostazione del servizio però è molto scorretta, poiché per stabilire che qualcosa non è sostenibile, è necessario metterla a confronto con le sue alternative. Un ettaro di palme da olio produce 7 volte l'olio che produce un ettaro di girasoli. Questo vuol dire che se l'industria fosse costretta a sostituire l'olio di palma con altri oli vegetali, dovremmo destinare alla produzione di olio molta più terra coltivabile, a parità di domanda. E la superficie coltivabile, quando aumenta, lo fa necessariamente a scapito degli ecosistemi naturali, foreste comprese. In questo caso alcune porzioni di foresta tropicale vengono sostituite da piantagioni di palme da olio, ovvero da una coltura arborea.

Pesticidi. La troupe di report si è imbattuta in un piccolo coltivatore di olio di palma, proprietario di un appezzamento di due ettari (ma come, non erano solo le grandi multinazionali a trarre profitto dall'olio di palma, a scapito delle popolazioni locali?). In ogni caso l'autrice del servizio si è mostrata scandalizzata del fatto che il contadino spruzzasse le sue palme con un pesticida prodotto da Syngenta, vietato in Europa. Chissà cosa avrebbe detto alla vista dei pesticidi che vengono utilizzati nei campi di mais, arachidi, soia, colza, girasole, e anche sugli ulivi. La coltivazione dell'olio di palma richiede meno acqua, pesticidi, fertilizzanti e combustibile di tutte le sue alternative non arboree.

Processi di trasformazione. Su questo aspetto il servizio di Report è stato piuttosto fumoso, dicendo poco, lasciando intendere molto e dimostrando praticamente nulla. Si parla genericamente di processi chimici, che non vengono descritti, e di come questi potrebbero lasciare tracce di solventi (quali?) nel prodotto finito. Anche qui, un confronto con le alternative dell'olio di palma sarebbe stato utile. Il processo di trasformazione che consente di produrre le margarine dagli oli vegetali – e che non è necessario per l'olio di palma, già solido "di suo" – si chiama "idrogenazione". Nulla di drammatico, per carità, ma alla fine queste margarine risultano essere ricche di grassi idrogenati, e quindi di acidi grassi trans, frutto di questo processo.

Grassi saturi e idrogenati: Fino a poco tempo fa sentivamo campagne contro l'uso dei grassi idrogenati, adesso dovremmo tornare ad usarli per non usare l'unico prodotto alternativo che ne risulta privo? Addirittura, proprio Report ha dedicato ai rischi per la salute dei grassi idrogenati (e di quelli saturi) una puntata, il 13 aprile del 2003, e le campagne contro i grassi idrogenati erano guidate dagli stessi, ma proprio gli stessi, che oggi lanciano petizioni contro l'olio di palma. Alla fine della puntata, ieri sera, invitando i consumatori a cercare alternative ai prodotti contenenti olio di palma, Milena Gabanelli ha ricordato che questo olio "è un grasso saturo e che vuol dire colesterolo". Ma anche il burro contiene una gran quantità di grassi saturi, più dell'olio di palma. Sarebbe stato corretto ricordarlo, prima di consigliare ai consumatori di scegliere prodotti a base di burro (o di margarine vegetali ricche di grassi idrogenati).

Due piccoli paesi. "Quello che sappiamo è che quando due paesi così piccoli come l'Indonesia e la Malesia da soli producono il 90% di tutto l'olio di palma consumato nel mondo è un problema", ha detto la Gabanelli alla fine del servizio. Piccoli paesi? L'Indonesia è il quarto paese del mondo per popolazione, con i suoi 250 milioni di abitanti, dopo Cina, India e Stati Uniti, e prima del Brasile. In Malesia invece abitano quasi trenta milioni di persone, e si sta rivelando un paese modello nella gestione sostenibile delle foreste. A certificarlo sono gli impegni assunti nelle conferenze internazionali sul clima, e finora sempre rispettati, a mantenere la copertura forestale del paese sopra il 50%. Oggi circa il 60% della Malesia è coperta da foreste – non esattamente lo stesso si può dire dei paesi che producono le alternative all'olio di palma.

Alla fine, il successo dell'olio di palma risulta insostenibile solo per i produttori delle sue alternative, messi seriamente in difficoltà dalla concorrenza di questo nuovo prodotto. E' comprensibile, ma l'informazione non dovrebbe mettersi alla guida di campagne protezionistiche, soprattutto quando a fare le spese di queste campagne sono economie emergenti e comparti produttivi che stanno facendo emergere milioni di persone dalla povertà. Il servizio di Report ha sottolineato più volte quanto potere abbiano i consumatori nel determinare il successo o il fallimento di un prodotto. E' vero, e proprio per questo i consumatori avrebbero diritto a essere informati più correttamente.