autobus affollato grande

Il governo ha confermato il limite dell’80 % di capienza sui mezzi pubblici di trasporto. È una scelta rischiosa, ma inevitabile, perché senza interventi a monte che riducano la domanda di mobilità, cioè nella sostanza senza chiudere, almeno parzialmente, scuole, uffici e imprese, non è possibile agire a valle sulla offerta di mobilità.

Anche il limite dell’80% in alcune fasce orarie non viene rispettato e le pubbliche autorità si guardano bene dal farlo rispettare semplicemente perché, dato il parco mezzi disponibili, è un limite incompatibile con la realtà. Provate a pensare cosa significherebbe non fare salire o a fare scendere dagli autobus o dai treni pendolari, che abbiano superato la capienza consentita, decine di migliaia di persone che si affrettano ad andare al lavoro.

Questa decisione, che scopriremo solo in seguito quanto sia stato un rischio calcolato o un azzardo, è però molto significativa di cosa significa governare in un contesto pandemico, di quanto sia vacuo il “correttismo sanitario” e di come sia impraticabile, nei fatti, un uso indiscriminato del principio di precauzione, cui però lo stesso esecutivo retoricamente si appella per giustificare scelte finalizzate, più che altro, a dare il “buon esempio”.

Ridurre la capienza effettiva sui mezzi pubblici implica delle scelte che hanno dei benefici, ma anche dei costi, di cui è complicatissima e discrezionale la ponderazione.

Di certo il criterio di “calcolo” non può essere morale – chiudiamo le cose “inutili” come i cinema e i ristoranti e non le cose “utili” come le scuole e i luoghi di lavoro – perché questo criterio non ha alcuna coerenza con l’obiettivo di minimizzare i costi complessivi della pandemia e neppure con quello di ridurre i rischi sanitari. Peraltro è del tutto impensabile operare a regime discriminando i servizi "essenziali" da quelli "non essenziali", perché senza l’apporto economico dei secondi i primi semplicemente non sono finanziabili e anche la moria di attività economiche “non essenziali” ha effetti diretti sulla sostenibilità e sull’efficienza dei sistemi sanitari.

Insomma, tirando il filo della controversa decisione dell’esecutivo sul trasporto pubblico locale prende forma la natura dilemmatica delle decisioni pubbliche in un contesto pandemico, in cui tutte le alternative risultano in parte inaccettabili per le conseguenze attese e le misure adottate possono essere giustificate formalmente per coerenza con l’obiettivo prescelto (es: "chiudo scuole e uffici, riduco la capienza dei mezzi pubblici e riduco i rischi di contagio"), ma essere messe sostanzialmente in discussione per l’infondatezza del loro presupposto (es: "la riduzione dei rischi di contagio sui mezzi pubblici non aiuta complessivamente un governo efficiente della pandemia, imponendo costi aggiuntivi non sostenibili, che dirottano risorse essenziali in altri settori").

Detto in altri termini: un Governo che sceglie di confermare, malgrado l’allarme dei virologi, l’80% di capienza dei mezzi di trasporto pubblico è un governo serio, sia che la decisione assunta si riveli giusta sia che si riveli sbagliata rispetto ai “contagi da bus, metropolitana e treni pendolari”. Un Governo che proclama “sempre e comunque prima la salute” – come se la salute, per una società, fosse misurata solo dall’incremento o dalla diminuzione dei singoli contagi Covid – è un governo ampiamente al di sotto del minimo sindacale della serietà, anzi proprio al di là del "bene" e del "male" che rileva ai fini di una decisione pubblica.

@carmelopalma