ATAC fuori servizio

Il trucco, grosso modo, è sempre lo stesso: giocare sulle parole, sugli equivoci, sulla differenza sottile (eppure decisiva) tra ciò che proponi e il modo in cui lo raccontano. Lo scopo è altrettanto evidente: delegittimare, deformare e distorcere, evitando così di entrare nel merito, di affrontare il dibattito, di assumere pubblicamente una posizione e prendersi la briga di argomentarla.

Con noi radicali, ad esempio, questa strategia è stata utilizzata per anni (e viene impiegata tuttora) sulla questione delle droghe, che ci si accusa strumentalmente di voler “liberalizzare”, con tutte le grida d’allarme e le lamentazioni che ne conseguono, mentre noi ne chiediamo la “legalizzazione”. Cosa che obiettivamente è molto, molto diversa.

Lo stesso, già dai primi giorni dopo il lancio della campagna, ci sta accadendo in relazione al referendum "Mobilitiamo Roma", col quale chiediamo che il servizio di trasporto pubblico nella capitale venga finalmente messo a gara, per spezzare il conflitto di interessi tra controllante (Comune) e controllato (Atac) che nei decenni ha provocato il disastro della mobilità oggi davanti agli occhi di tutti. Un conflitto di interessi che oggi produce effetti paradossali: come ad esempio il fatto che le penalità erogate dall’amministrazione ad Atac per il mancato rispetto degli standard richiesti ricadano, in definitiva, a carico dell’amministrazione stessa, sistematicamente costretta a ripianare le perdite endemiche dell’azienda.

In buona sostanza il modello che si propone consiste in questo: il Comune stila un “contratto di servizio”, nel quale vengono dettagliate tutte le caratteristiche che il trasporto pubblico cittadino deve avere (il periodo di validità, la dimensione e i livelli qualitativi dei servizi, la struttura della tariffa a carico dell’utenza, le sanzioni in caso di inosservanza e via discorrendo), e poi a effettuare il servizio saranno i soggetti che si aggiudicheranno la gara. Una gara alla quale, con ogni evidenza, potrà partecipare anche Atac, se e nella misura in cui sia nelle condizioni di offrire quanto richiesto dal bando.

Quella che abbiamo appena descritto si chiama (stavolta sì) "liberalizzazione", ma subito ecco chi ci accusa (a partire dai vertici dell’amministrazione, leggasi assessora Meleo) di voler "privatizzare": cioè di voler vendere (o "svendere", tanto per rincarare la dose) l'Atac a un privato. Cosa che noi non proponiamo, che non abbiamo mai proposto, che non ci sogneremmo mai di proporre: perché conosciamo fin troppo bene i danni che vengono prodotti dai monopoli, siano essi pubblici o privati, e riteniamo invece che la soluzione al problema dei trasporti romani (e non soltanto a quelli) si chiami concorrenza.

Così, giocando sulle parole, si elude un dibattito che questa città aspetta da troppo tempo: quello su un'amministrazione che invece di pianificare e controllare adeguatamente il trasporto pubblico, compito che le sarebbe proprio, lo gestisce direttamente attraverso una società controllata al 100% che nei decenni ha rappresentato la principale riserva di caccia clientelare per tutti i partiti, da destra a sinistra; quello su un'azienda tecnicamente fallita, che accumula centinaia di milioni di euro di perdite sistematicamente e dolorosamente ripianate da tutti noi, che ha debiti oltre il miliardo e che produce, nel suo baratro senza fondo, un impatto devastante sui cittadini, in modo particolare su quelli meno abbienti; quello su una città allo stremo, lontana anni luce da tutte le altre capitali europee, nella quale muoversi è diventato ormai quasi impossibile, e sulle soluzioni concrete per sottrarla alla paralisi che la attanaglia.

Il tentativo del referendum "Mobilitiamo Roma", in ultima analisi, è proprio questo. Sollevare finalmente un dibattito pubblico che tutti i partiti hanno sistematicamente e colpevolmente eluso, sulla pelle dei romani, in nome dei propri bacini clientelari e dei propri interessi elettorali: e sollevarlo attraverso gli strumenti della partecipazione popolare, che l'amministrazione a 5 Stelle ha sempre proclamato, almeno a parole, di tenere nella più alta considerazione.

Noi, con l'aiuto dei cittadini romani, stiamo cercando di fare in modo che quel dibattito parta, per il bene della città, di chi la abita e di chi ci lavora: ora loro dimostrino di essere diversi dagli altri come dicono, accettando un dibattito aperto e favorendo in ogni modo la partecipazione dei cittadini, a partire dagli autenticatori per le sottoscrizioni.

Perché per "cambiare tutto" non bastano le parole. Ci vogliono i fatti.

(Alessandro Capriccioli è segretario di Radicali Roma)