La malaria della politica. Il genio razzista è uscito dalla lampada
Scienza e razionalità
"Dopo la miseria, ci portano le malattie” titolava ieri a nove colonne il quotidiano Libero, a proposito della bambina morta di malaria all’Ospedale di Brescia. E subito molti esponenti leghisti e del centro-destra sedicente “moderato” hanno denunciato l’allarmante correlazione tra la diffusione di malattie da tempo scomparse nel nostro Paese e la presenza sempre più massiccia di popolazione immigrata.
Ovviamente, a finire nel mirino sono stati i “clandestini”, anche se gli untori oscenamente additati alla riprovazione popolare sono due bambini del Burkina Faso regolarmente soggiornanti in Italia. E avrebbero potuto essere due bambini italiani di ritorno da una vacanza esotica, partiti senza seguire la profilassi consigliata (gli “importatori” di malaria sono italiani, mediamente, in un caso su cinque).
I diversi articoli che trattano del caso dal punto di vista scientifico ne sottolineano tutti l’assoluta straordinarietà, fino a ipotizzare come causa più plausibile della trasmissione un caso madornale di mala-sanità, cioè l’utilizzo di una siringa infetta. Per converso, l’ipotesi che la malattia sia stata “trasportata” dalle bambine africane a quella italiana potrebbe anche fare ipotizzare la presenza di una zanzara autoctona capace di veicolare l’agente patogeno di origine africana. Sarebbe lo scenario più grave e quello in assoluto meno correlato all’intensificarsi dei fenomeni migratori.
Il problema è che questo tipo di considerazioni – a partire dalla assoluta irrilevanza di un “rischio malaria” (per la stragrande maggioranza dei casi si tratta di malaria "importata", quelli autoctoni, in cui la malattia risulta contratta in Italia, dal 2011 al 2015 sono stati 7 su 3633) – non sposta minimamente il baricentro della discussione pubblica, perché non è la diffusione delle malattie (come di altri fenomeni di allarme sociale “xeno-correlati”) a causare il pregiudizio e la diffidenza verso gli stranieri, ma è al contrario il razzismo endemico nella cultura e nella sensibilità sociale a usare questi casi come dimostrazione della propria legittimità e fondatezza.
È la malaria della politica a usare la malaria degli stranieri, non la seconda a causare la prima. Da sempre il razzismo ha del resto una giustificazione razzisticamente profilattica. Gli stranieri e in particolare gli stranieri più stranieri di tutti, gli ebrei, sono sempre stati accusati di portare le malattie che attentavano alla salute della razza o di diffondere volontariamente la lebbra e la pestilenza. I fenomeni migratori (la loro portata, la loro epocalità, la loro irrimediabilità…) sono l’attivatore di una sindrome politicamente psicogena che nella sovrabbondanza di stranieri e nella prospettiva di un meticciato platenario conferma la “verità” delle proprie ossessioni.
Oggi la vera emergenza politica è questa: il genio razzista è uscito dalla lampada e non sarà facile farcelo rientrare. Ma, a differenza di quanto spera chi si illude ingenuamente che sia possibile “negoziare” con esso un modus vivendi non distruttivo e auto-distruttivo, va chiamato col suo nome e riconosciuto nella sua natura per potere essere fronteggiato e battuto. Non è vero che molti elettori si eccitano morbosamente per la proposta di Calderoli di castrare chimicamente tutti i richiedenti asilo, perché sono davvero essi a rappresentare la causa della loro insicurezza, povertà e paura del futuro. Gli stranieri (meglio se neri o diversamente colorati) sono le vittime perfette, i capri espiatori di una sorta di arcaico sacrificio votivo, che i nuovi stregoni della politica promettono di celebrare per favorire un destino benigno.