profughi ungheria

Gli esiti del vertice europeo di stanotte sulla cosiddetta "riallocazione" di 120.000 richiedenti asilo rappresentano la tregua molto parziale di una guerra molto profonda, destinata con ogni probabilità a proseguire in forme politicamente più cruente. La belligeranza dei paesi contrari alle decisioni di Bruxelles, ma disponibili obtorto collo ad accettarle, è destinata a riaccendersi quando le dimensioni degli sforzi richiesti torneranno a crescere e la Commissione presenterà le sue proposte per la gestione a regime del fenomeno migratorio, con il superamento di Dublino, la definizione di un criterio stabile di redistribuzione dei richiedenti asilo e la revisione del sistema dell'immigrazione legale nell'Ue.

Per questo passo avanti, obiettivamente necessario, ad oggi in Europa continuano a mancare le condizioni politiche e istituzionali. Manca sia il "gancio" a cui appendere il nuovo sistema che il consenso per piantarlo sulle mura della costruzione europea. Un coordinamento che, sulla spinta dell'emergenza, continui a basarsi su negoziati confusi, segnati dall'ostilità, dalla diffidenza e dalla minaccia, non è destinato a reggere neppure nei paesi, come Francia e Germania, che hanno nelle ultime settimane sostenuto le ragioni della solidarietà europea.

L'Italia è in una situazione ancora più scomoda, dovendo rendere conto ora sia all'opinione pubblica europea, che a fronte dei sacrifici si aspetta dai paesi di frontiera una guardiania più inflessibile e efficiente delle porte dell'Unione, sia a quella nazionale, che rimane, in buona maggioranza, schierata su posizioni insieme anti-migratorie e anti-europee. Da questo punto di vista, ben si può comprendere come il successo più grosso dell'esecutivo non stia tanto nel contenuto delle decisioni assunte nel vertice di Bruxelles, ma nell'essersi seduto dalla parte giusta del tavolo, quando, guardando agli umori dell'opinione pubblica, sarebbe stato più comodo accomodarsi dalla parte sbagliata, accusare "l'Europa" - cioè tutti e nessuno - dell'invasione in atto e chiedere risarcimenti o immunità impossibili.

La fragilità dell'accordo di stanotte è ancora più evidente se si guarda alla proiezione esterna dell'impegno che una gestione davvero attiva dell'emergenza migratoria comporterebbe sugli scenari di guerra libico e siriano, su cui oggi non esiste, né ragionevolmente può esistere, alcun progetto europeo in senso stretto. Un'Europa che continua a sperare che altri sigillino i suoi confini dai gelidi "spifferi" delle guerre globali è un'Europa destinata inevitabilmente a dividersi sulle conseguenze di questo fallimento.

L'unica vera buona notizia - potremmo dire amaramente - è che è arrivato l'autunno. Con il freddo e il cattivo tempo gli sbarchi e gli ingressi via terra saranno inferiori e meno impattanti sull'equilibrio instabile di un'Europa che è molto distante dal trovare un centro di gravità permanente.

Quel che è certo è che un vero passo avanti su questo tema vitale per la tenuta dell'Ue, più che di un consenso estorto ai paesi riluttanti, necessita di momenti di chiarezza e, se necessario, di rottura drammatica. A costo di ridisegnare davvero il perimetro, anche geografico, della possibile Europa comune.

@carmelopalma