deere

"Tutto è veleno tranne il mio prodotto". Questo pare oggi il comune denominatore di molteplici campagne di comunicazione, o sarebbe meglio definirle "di scaltra disinformazione", atte a spaventare i consumatori al fine di orientarne le scelte. Scelte il cui costo economico, ça va sans dire, dissuaderebbe altrimenti dal compierle. Basta diffondere allarmi e il gioco è fatto. E non importa se che quegli allarmi siano giustificati oppure no.

Fra i molti alimenti e bevande su cui sono state orchestrate campagne strumentali di demonizzazione, la pasta merita sicuramente un posto sul podio. Risale infatti a un paio di anni fa un articolo di Retenews24 sugli spaghetti ai pesticidi. Tutti nella norma, i residui, ma presentati - attraverso il tono e le allusioni - come insidiosissmi veleni di cui avere timore, magari spostando le proprie scelte sul biologico. Nello stesso periodo la Girolomoni, società che produce appunto pasta bio, dovette ritirare dal mercato alcune partite dei suoi prodotti in quanto superavano i limiti di legge sulle micotossine, di gran lunga peggiori da punto di vista tossicologico e oncologico rispetto ai residui chimici degli agrofarmaci. Ognuno è libero di scegliere come spendere i propri soldi.

A rilanciare tali allarmismi sulla pasta ha quindi pensato Granosalus, un’associazione nata a fine 2016 in Puglia, nella fattispecie nel Foggiano. Basta navigare per il loro sito e sulla pagina Facebook per rendersi conto di come una delle prime preoccupazioni sia quella di stimolare donazioni e contributi. Soldi necessari, a loro detta, per intensificare la propria azione di controllori e garanti della salute dei consumatori. Come avranno mai fatto i suddetti consumatori a dormire tranquilli fino a qualche mese fa resta un mistero. Ma il vero pezzo forte è il "testo" messo online - definirlo "articolo" sarebbe improprio - intitolato in modo enfatico: “Lo dicono le analisi: Don, Glifosate e Cadmio presenti negli spaghetti”. Il Don altro non sarebbe che il deossinivalenolo, una micotossina prodotta da alcune specie di Fusarium che attaccano la spiga dei cereali.

Da alcune analisi commissionate da Granosalus su campioni di pasta delle principali industrie del settore sarebbe infatti emerso uno scenario "inquietante". Sempre a detta loro, ovviamente. Peccato, o per fortuna, che i valori di contaminanti fosse sempre sotto i limiti di legge, spesso abbondantemente, e che quindi tali paste fossero perfettamente sicure per la salute del consumatore.

A titolo di esempio, anche assumendo il valore massimo di glifosate reperito nella pasta, pari a 0,11 milligrammi per chilo, si evince facilmente come di rischi per la salute non ve ne siano affatto. Un essere umano di 60 chilogrammi di peso corporeo dovrebbe infatti assumere oltre 270 chili di quella pasta, ogni giorno e per tutta la vita, per raggiungere la dose ammissibile giornaliera di sicurezza per tale erbicida. In altre parole, dovrebbe assumere ogni giorno oltre dieci volte la quantità media di pasta che gli italiani mangiano in un anno. Peraltro, la soglia di sicurezza per la salute umana è fissata in una misura di cento volte inferiore alla dose che in laboratorio non ha procurato alcun danno alle cavie nel corso degli specifici test di lungo periodo. L’ipotetico soggetto da 60 chilogrammi, cioè, pur ingozzandosi con 270 chili al giorno di quella pasta, resterebbe entro una dose che è a sua volta un centesimo di un’altra dose risultata innocua. Fatte le debite proporzioni, temere tali tracce equivarrebbe quindi a preoccuparsi di divenire alcolista bevendo una lattina di birra all’anno.

Come già accaduto in passato con le acque, la birra, il vino o l’ortofrutta, anche nel caso della pasta si prosegue quindi nella shakespeariana tradizione di vivere attorniati da grandi rumori emessi a fronte di nulla. O meglio, di nulla per la salute, perché per i conti in banca dei ciarlatani pare invece che il rumore sia proprio l’alleato migliore.