Partiamo dall'unico dato del quale abbiamo certezza, enunciato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità: "I dati epidemiologici disponibili non mostrano nessuna evidenza di correlazione tra il vaccino trivalente per morbillo, rosolia e parotite e l’autismo, e lo stesso vale per ogni altro vaccino infantile". Nessuna correlazione, quindi. A maggior ragione, nessun rapporto di causa-effetto.

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La leggenda della correlazione tra vaccini ed autismo non si è generata e diffusa autonomamente in rete, come molte altre, tra le pieghe del solito complottismo cialtrone. Alla sua origine, lo racconta Daniela Ovadia su Le Scienze, una vera e propria truffa scientifica e, se vogliamo, un corto circuito nei "sistemi di controllo" che la comunità scientifica mette in atto per garantire l'affidabilità delle ricerche e per tutelare la propria stessa credibilità. Nel 1998 fu Lancet, una rivista seria, a pubblicare uno studio di Andrew Wakefield che metteva in relazione i vaccini con l'autismo, sulla base di evidenze che quattro anni dopo la pubblicazione nessuno era ancora riuscito a riprodurre. Di più, fu accertata una gravissima condotta fraudolenta di Wakefield, che nel 2010 fu radiato dal Medical Register del Regno Unito, mentre Lancet ritrattava la pubblicazione con tante scuse. Nel frattempo, però, la frittata era fatta, ed ancora oggi in rete gli studi di Wakefield vengono citati come base per campagne d'opinione contro i vaccini. Campagne che nel solo Regno Unito, dopo la pubblicazione dello studio su Lancet, hanno indotto una significativa diminuzione del ricorso alla vaccinazione trivalente, con conseguente e proporzionale aumento dei casi di morbillo, anche letali.

Poi, a valle di tutto ciò, c'è l'Italia, e il caso che sta tornando alla ribalta in questi giorni: una famiglia di Terrasini, in provincia di Palermo, sottopone il proprio bambino ai vaccini previsti dalla legge. Nel 2001 (il bimbo ha un anno) alcuni problemi: febbre e convulsioni, in un primo momento sembra tutto a posto, fino a che nel 2004 gli viene diagnosticato un grave deficit cognitivo con disturbo pervasivo dello sviluppo. In parole povere, autismo. I genitori si informano, soprattutto in rete, e si imbattono nei siti che mettono in relazione i vaccini con l'autismo. Forse proprio negli studi di Wakefield. E decidono di chiedere giustizia, sulla base della legge del 1992 che riconosce il diritto a un risarcimento per chi subisce danni permanenti a seguito di vaccinazioni obbligatorie. Finché un giudice dà loro ragione, stabilendo un rapporto di causa-effetto tra vaccinazioni ed autismo, e riscrivendo di fatto la scienza medica dalla cattedra di un tribunale. Oggi le polemiche ruotano attorno al fatto che il Consiglio di Stato non vuole riconoscere il risarcimento appellandosi ad una questione burocratica di tempi della presentazione della richiesta, argomento forse corretto sul piano giuridico, ma che sembra fatto apposta per fare assumere alla vicenda contorni meschini che non merita, oltre che a trascurare il problema di fondo.

I giudici si sono sostituiti agli scienziati nell'interpretazione dei fenomeni naturali già al tempo della sentenza del tribunale dell'Aquila contro i membri della Commissione Grandi Rischi della Protezione Civile, sebbene con modalità differenti, e oggi ci ricadono di nuovo. Quel che resta da capire è se si tratta solo di scelta affrettata e superficiale di consulenti poco preparati (cosa che sarebbe già abbastanza grave di per sé), o se anche nella magistratura, come già da tempo avviene nella politica, c'è chi ritiene di dover assecondare gli umori dell'opinione pubblica fregandosene delle evidenze scientifiche.

Magari avallando l'idea, questa sì pericolosa, che la rete non sia solo uno strumento straordinariamente efficace per diffondere conoscenze acquisite al di fuori essa attraverso anni di studio, fatica e severi processi di verifica delle competenze, ma sia un luogo che autonomamente produce competenze e conoscenza. La famiglia Palazzolo di Terrasini e la famiglia di Lorenzo Odone, resa celebre dal film "l'olio di Lorenzo", hanno in comune lo stesso disperato bisogno di trovare soluzioni ad un dramma straziante ed autentico, la malattia del proprio figlio, l'iniziale incompetenza per la scienza medica e la scarsa dotazione dei filtri necessari per distinguere la scienza dalle pseudoscienze. La differenza invece, riflessa anche nei risultati delle loro ricerche, risiede nel fatto che i primi hanno avuto l'opportunità di cercare su internet mentre i secondi, alcuni decenni prima, si erano dovuti "accontentare" della biblioteca.

E per finire, c'è anche il tema della credibilità della scienza, rilevato da Daniela Ovadia nel già citato articolo su Le Scienze: la comunità scientifica ha impiegato anni per prendere in considerazione le indagini giornalistiche di Brian Deer sul Sunday Times, nelle quali venivano espressi seri (e fondati) dubbi sulle ricerche di Wakefield. Quegli stessi scienziati che oggi, secondo la vulgata, farebbero quadrato attorno agli interessi di Big Pharma, avevano fatto quadrato a suo tempo attorno a Wakefield, poiché chi lo accusava di frode scientifica non era uno scienziato, bensì un giornalista. Una difesa spontanea, non richiesta, non interessata ma dai tratti fortemente corporativi che ha contribuito ad allontanare nel tempo l'accertamento della verità (con le conseguenze che sappiamo) e le cui modalità rispecchiano in qualche modo quel deficit di credibilità della scienza moderna e dei suoi, forse antiquati, processi di verifica. Quelli di cui parlava l'Economist in un approfondimento di alcune settimane fa.