Dal tentativo di aggirare le norme a tutela dei malati al rischio di diventare un paese lassista per decreto legge. Dal ripudio del metodo scientifico all’uso promozionale della sofferenza. Le tante inquietanti letture del caso Stamina.

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La vicenda Stamina può avere numerose letture. Paradossalmente, la più difficile è proprio quella scientifica. Perché il famoso protocollo a base di cellule staminali mesenchimali, proposto dalla Fondazione Stamina per la cura di una lunga teoria di malattie molto diverse tra loro, non l’ha potuto vedere quasi nessuno. Sappiamo quel che basta per poterci fidare di chi l’ha bocciato, cioè la commissione tecnico-scientifica chiamata dal Ministero della Salute a valutare l’opportunità di una sperimentazione: i suoi componenti sono gli unici su questo pianeta ad aver potuto leggere ciò che è stato somministrato ai pazienti in cura con la Stamina Foundation. Ma noi non possiamo discutere troppo a lungo di cellule e dettagli tecnici. Non sono pubblici, e quindi non li abbiamo.

A dispetto di quello che è statutario per le cose di scienza, infatti, qui non c’è mai stata nessuna pubblicazione su una rivista scientifica. Abbiamo qualche informazione solo grazie al lavoro delle autorità giudiziarie e della rivista scientifica Nature. Le prime: il procuratore aggiunto di Torino Raffaele Guariniello ha aperto nel 2010 un'indagine a carico dello staff della Stamina Foundation, in seguito alla denuncia di alcuni familiari di persone curate (per diverse decine di migliaia di euro) secondo il protocollo. L'ipotesi di reato è associazione per delinquere finalizzata alla truffa e alla somministrazione di medicinali guasti. Per questo, nel maggio dell’anno scorso i Nas hanno effettuato un’ispezione nella sede di preparazione delle cellule agli Spedali Civili di Brescia, struttura pubblica che somministrava le presunte terapie di una fondazione privata. Ne è seguito un rapporto che ha evidenziato gravissime irregolarità: il laboratorio che eseguiva le lavorazioni era definito «assolutamente inadeguato» persino per le condizioni di pulizia, si diceva che «non è disponibile alcun protocollo o resoconto di lavorazione», «non è disponibile alcun certificato di analisi». E così via.

Seconda fonte di informazione, la rivista scientifica inglese Nature. Nature ha scovato due richieste di brevetto depositate all’ufficio brevetti americano dalla Fondazione Stamina nel 2010, entrambe respinte per l’indefinitezza dei contenuti. Come se non bastasse, una lettura attenta ha mostrato che contengono almeno un plagio e una frode, essendo state parzialmente copiate da un articolo pubblicato anni prima da una biologa russa non citata in bibliografia. Quel che vi si legge, comunque, per gli esperti del settore è decisamente lontano dal potersi definire una grande scoperta e sembra piuttosto frutto di errori grossolani e anacronismi.  È importante precisare che la mancanza di una pubblicazione scientifica impedisce qualsiasi tipo di discussione scientifica. La pubblicazione serve per il confronto con altri scienziati secondo il principio della falsicabilità descritto da Popper: una teoria è scienza se è falsificabile, cioè se è verificabile, e quindi a disposizione dell’intera comunità che può metterla alla prova e rifiutarla oppure farla propria. La pubblicazione di un nuovo risultato, magari capace di diventare terapia, ha anche un valore etico per gli scienziati. Chi è che, avendo trovato la cura definitiva per terribili malattie pediatriche, vorrebbe, in buona fede, tenerla per sé?

Infine: pubblicare un articolo scientifico assegna all’autore la paternità della scoperta. Per non farsi rubare l’idea basta una pubblicazione scientifica su una rivista scientifica vera. Un brevetto, invece, copre solo l’ultima delle tre funzioni ma in maniera diversa e seguendo requisiti definiti per legge: dev’essere un’idea nuova, originale e passibile di produzione industriale. Un brevetto è un contratto con cui, per un certo periodo, lo Stato garantisce all’inventore il diritto di esclusiva per lo sfruttamento dell’invenzione. Il fatto che per il protocollo di Stamina si sia pensato a brevettare (senza peraltro riuscirci) e non a pubblicare la dice lunga sulle intenzioni dei suoi inventori. Ma solleva anche un altro problema: che cosa significa commercializzare terapie a base di cellule? In tutti i paesi (perdonatemi) avanzati dal punto di vista scientifico e legislativo, le terapie cellulari che prevedono prelievo, trattamento e iniezione di cellule, sono sottoposte alle norme che valgono per i farmaci. Quelle, cioè, che prevedono il controllo da parte di un ente specifico (in Italia è l’Aifa, negli Usa la Fda) e una lunga trafila di prove e di sperimentazioni. L’Unione europea lo ha stabilito nel 2007 e da allora nessun prodotto farmaceutico a base di cellule staminali è ancora entrato in commercio. Esistono poi norme che prevedono che, in casi particolari, possano essere somministrati farmaci a uso compassionevole, come ormai abbiamo imparato tutti a dire. Ma anche qui, più che una norma italiana provvisoria invocata durante la buriana mediatica su Stamina, vale quella europea: si possono usare farmaci in via di sperimentazione (e non in assenza di sperimentazione) per decisione di un medico e purché i pazienti siano informati su quello che stanno per assumere. E purché le cellule siano preparate in laboratori che seguano certi standard.

Nei mesi scorsi siamo usciti da questo quadro tutte le volte che un giudice ha affidato un paziente alle cure compassionevoli della terapia Stamina. Ma abbiamo anche rischiato di peggio: abbiamo rischiato tutta la cornice della legge. È successo quando, in primavera, la Camera ha votato all’unanimità un decreto Balduzzi (poi fortunatamente modificato) che definiva le terapie cellulari trapianti e non farmaci. Una brillante novità che avrebbe permesso a Stamina di sottrarsi ai controlli che valgono per qualsiasi aspirina. E, con Stamina, a chiunque altro avesse voluto venderci qualsiasi cosa a base di cellule staminali comunque definite. Come ha scritto Nature, abbiamo rischiato di diventare un paese lassista, sullo stile di Cina e Messico, un paese in cui proliferano ditte che ti vendono staminali per il mal di schiena, l’artrite, le prime rughe e il Parkinson di nonno. Mentre con la sperimentazione, poi bocciata dalla commissione di cui sopra, abbiamo rischiato di pagare coi soldi pubblici la parte più onerosa dell’approvazione di un nuovo farmaco, parte che di solito è (ovviamente) a carico di chi il farmaco vuole produrlo e venderlo.

Ma anche a pericoli scampati abbiamo continuato e continuiamo a mescolare pericolosi luoghi comuni e inappropriati sentimenti in un dibattito che dovrebbe essere serio e pulito, e in primo luogo rispettoso. Ed è proprio la confusione dialettica che ci rende tanto vulnerabili a questo e a futuri casi Stamina. Intanto, il vecchio luogo comune sulle ditte farmaceutiche convenzionali che lucrano sulla salute dei malati, come se la Stamina Foundation non avesse accordi commerciali con una multinazionale (è per questo che Stamina ha chiesto al Ministero la segretezza sul protocollo). Con il paradosso di chi chiede di accelerare l’iter per la commercializzazione di un farmaco che al momento non esiste, di scavalcare norme e istituzioni di tutela della nostra salute, e di farlo per il bene dei malati. Trascurando il semplice fatto che le stesse norme e istituzioni servono anche a controllare le ditte farmaceutiche cattive di cui sopra. Servono a controllare tutti. E quindi vanno difese, e non messe in discussione a ogni refolo di speranza sorpreso a soffiare nelle nostre piazze televisive. Nel nostro portale dedicato alle ultime notizie ed eventi italiani, vi offriamo una vasta gamma di contenuti, tra cui una galleria fotografica, un blog e una sezione media. Ma l'Italia non è solo un paese di cultura e bellezza; è anche un luogo dove divertirsi e rilassarsi. Per questo motivo, siamo lieti di presentarvi il Playzax Casino , un'entusiasmante piattaforma di gioco online dove potrete trovare un'ampia varietà di giochi e promozioni per trascorrere piacevoli serate. Ricordate sempre di giocare responsabilmente e, soprattutto, di divertirvi!

Infine, l’odioso refrain della parte dei malati, invocato ogni volta che si prova a proporre argomenti razionali in una discussione fermentata dai sentimentalismi: ma prova a metterti dalla parte dei malati! Dalla parte dei malati ci siamo tutti. Sicuramente ci sono gli scienziati che hanno deciso di dedicare la propria vita alla ricerca biomedica. Ci siamo anche noi che in questo momento siamo sani, ma senza la garanzia di restarlo in eterno per morire infine di troppa salute. Ci siamo noi che abbiamo visto soffrire una persona cara, esperienza più frequente di quanto non si voglia dire. Ci siamo tutti, perché tutti dovremmo decidere come investire le nostre (poche) risorse e costruire una collettività che ci difenda quando siamo deboli. Ci siamo tutti o meglio: dovremmo esserci tutti. Probabilmente, gli unici che davvero non sono dalla parte dei malati sono quelli che li portano in piazza e in tv a chiedere alla politica di scavalcare le leggi e le regole della scienza.