Benedetta questa crisi (se ci salverà dalla paralisi)
Ottobre 2013 / Monografica
La migliore qualità per un profeta è avere buona memoria.
1637) Grande bolla dei bulbi di tulipani in Olanda
1797) Crisi del mercato, del commercio e del credito in Gran Bretagna e negli Stati Uniti
1819) Prima grande crisi finanziaria negli Stati Uniti
1837) Grave recessione degli Stati Uniti, durata per sette anni
1857) Prima crisi economica globale americana / mondiale
1871- 1896) La grande depressione con le sue fasi di crisi economiche
1901) Primo crollo del mercato azionario statunitense
1929) Tragico crack. Crisi finanziaria tellurica.
1937) Recessioni economiche
1974) crollo delle Borse
1987) Lunedi nero
1992) Mercoledì nero
1997) La grande crisi asiatica
2000) Recessione
2008) ………
Bene. Il punto di vista è che le logiche dell’economia di mercato non sono state annichilite dalle crisi, ma si sono salvate grazie alle crisi.
In questo articolo si diranno banalità: saranno il frutto di un contesto anzi di una contingenza culturale incentrata sull’uso strategico della parola “crisi”, parola sempre più spesso usata in termini di ideologizzazione del presente come forma di totale delegittimazione del passato prossimo, con conseguente radicalizzazione di una idea di “futuro corto”. O come una volta avrebbero detto i punk: no future. Cosa vuol dire? Il futuro corto è il nome che si può dare a quelle logiche di speculazione culturale che non intendono il futuro come orizzonte di distacco dal presente e di possibile e potenziale ricodifica di future logiche di sistema (sociale, culturale, economico, esistenziale, ecc.) ma che intendono il futuro come mero allungamento e procrastinazione del presente. Il futuro come fosse un tender, un pezzo di presente che esisterà solo nel senso di protensione e riedizione perpetua dell’oggi, dell’adesso, dell’attuale momento storico e psicologico. In questa ottica se il presente (sociale, economico, ideologico, politico, spirituale, quindi, di sistema) è ideologicamente interpretato e pensato come radioso, il futuro non potrà che essere il suo più o meno perpetuo procrastinarsi – e se il presente è, invece, uno stato di crisi, dovuto a scompensi di sistema, allora il futuro non potrà che essere letto in forma dilatazione temporale dello stato di crisi. La questione in gioco è la relazione tra futuro e sistema del presente.
Spieghiamoci meglio. A molti manca il concetto di ciclicità, a molti manca il concetto di opportunità.
Il presente viene affrontato come la dimostrazione dell’ineludibilità della crisi. E questa viene letta come la dimostrazione della totale fallimentarietà di un equilibrio. Equilibrio in senso antropologico, ossia stato delle cose. Crisi vuol determinazione di un elemento di discontinuità, che rompe la continuità sociale, economica, ideologica, politica e spirituale, che rompe dunque la continuità di sistema. Ma crisi, inoltre, cosa altro significa? Fine di un sistema sociale, ossia delle sue logiche economiche e simboliche?
I sistemi sociali, da un punto di vista diacronico, si manifestano, plausibilmente, in quattro fasi: sperimentazione, determinazione, assunzione e sclerotizzazione.
La sperimentazione è la fase in cui, desumendo anche dal preesistente pensiero sociale, una ipotesi teorica spesso teoretica e ideologica di sistema sociale assume i connotati che poi diverranno effettivi e costitutivi. Ricordandoci sempre che tutti i punti di vista e tutte le prese di posizione e tutte le scelte sono sempre e comunque atti ideologici che fanno riferimento a sistemi di idee, più o meno normativizzanti (le gradazioni ideologiche).
La determinazione è il momento della certificazione e dimostrazione, della certezza, affidabilità di un sistema sociale, del suo fare, del suo funzionamento, che vuol dire: funzionare per un qualche scopo per qualcuno. Qualcuno nel senso di micro o meso o macro, più la concezione di “qualcuno” è ampia, e più ci si avvicina alla dimensione del bene comune.
L'assunzione è il momento storico-sociale in cui la logica di sistema viene sistematizzata, ossia, la questione viene fatta propria dalla società stessa, ossia, il corpo sociale finisce per “identificarsi” (nel livello subconscio) alle formule e modalità del sistema stesso, e ciò implicherà anche i sviluppi futuri del corpo sociale in quanto ad attribuzioni d'uso e simboliche.
La sclerotizzazione è il declino di un sistema sociale. La sua perdita di moto. L’interruzione delle potenzialità dinamiche e trasformative. Con la sclerotizzazione perdono di significato gli ancoraggi simbolici e mitici di un sistema, i suoi simulacri si dissolvono, l’immaginario si solidifica e va a fondo. Ma declino non significa azzeramento, bensì, opportunità di crisi. Crisi come trasfigurazione, quindi, il fondersi, o il dissolversi delle logiche di sistema in altre nuove espansioni del sistema stesso, o, piuttosto, il suo più drastico disuso o abbandono completo; senza matrimoni e figlianze di alcun tipo. Ma la seconda ipotesi è abbastanza rara. La storia raramente ha visto punti e accapo. La storia umana, metafora delle logiche psichiche dell’uomo, agisce non per “fine” di un sistema e “nascita” di un altro sistema, per “fine” e “rinascita”. Ma attenzione: la rinascita implica, sempre, una sorta di memoria di forma (dinamica, fluttuante, trascodificata, trasformata) della vita precedente.
Sovente, alcuni sistemi, o logiche di sistema, o schemi di sistema, sono stati assunti, addirittura, quando già sclerotizzati.
Tutto questo per dire cosa. Per dire che o ci si tiene la sclerotizzazione di sistema, o si interpreta la crisi qual è, ossia, quale unica possibilità di superare la sclerotizzazione ed evitare la morte, apparente, di un sistema sociale.
Esistono alternative alla crisi? No.
La crisi è un male? La crisi non è né un male, né un bene, ma è solo e semplicemente, come sempre accaduto nella storia, l’unica forma per riattivare le energie di un sistema, altrimenti condannato alla paralisi.
Certo, si può fare una rivoluzione, certo in alcuni casi i paradigmi sociali vengono bruscamente invertiti. Un nuovo paradigma è una risposta alla crisi del vecchio, una rivoluzione sociale è il passaggio da un paradigma dominante a un altro paradigma dominante. Ma quante volte nella storia il nuovo paradigma dominante, quando ve ne è stato uno, è riuscito davvero a eliminare tutte le logiche di funzionamento del paradigma precedente? Spesso un nuovo paradigma dominante è riuscito a “rimuovere” la formula pre-esistente, ma rimuovere in senso psicologico, ossia, lasciandola latente.
E poi. Vogliamo fare una rivoluzione? Azzerare le logiche dell’attuale sistema sociale? Chi vuole fare una rivoluzione provi a farla, per chi non la vuole fare valga questo concetto: «non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere “superato”. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell'incompetenza. L'inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c'è merito. È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l'unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla». Avrete riconosciuto le parole di Albert Einstein.
Però attenzione; benedire la crisi, come andrebbe fatto, vuol dire immaginare, pensare, progettare ed attuare cambiamenti. La crisi non è e non può essere semplicemente evitata, ma va “compiuta” ossia adoperata come opportunità di scelta e di cambiamento. Se invece si ipotizzasse di oltrepassare una crisi semplicemente tenendo duro e aspettando che finisca, gestendo l’immobilità e la sterilità culturale, proteggendo la propria sclerosi simbolica, creando false certezze, rinunciando ad orizzonti di trasformazione, allora le logiche di sistema del presente meriterebbero l’estinzione, e quindi ci si meriterebbe una rivoluzione.
INDICE Ottobre 2013
Editoriale
Monografica
- E' (ancora) il tempo dell'ottimismo razionale
- Come sopravvivere ai tempi del credit crunch
- Il trionfo della speranza sull'esperienza
- Benedetta questa crisi (se ci salverà dalla paralisi)
- La Casta non basta: il vero spreco sono vent'anni di non riforme
- La spesa pubblica è finita, andate in pace
- Oltre la gerontocrazia sessantottina
Istituzioni ed economia
- Ma la ripresa è ancora un miraggio
- Cronache da Nottingham – In Italia si legifera solo per eccezioni
- Renzi e la sindrome del braccio destro usa e getta
- Il crepuscolo dei liberali tedeschi. Intervista a Frank Schäffler
- Pagheremo le accise, ma non prendeteci in giro
- Mal di banca. Come e perché nulla sarà più come prima
Innovazione e mercato
- Sulla Route 66 della mozzarella di bufala
- L'equivoco, molto italiano, dei minijob tedeschi
- Property rights and GDP growth are positively linked
- Quell'assurda mazzata sulle sigarette elettroniche
Scienza e razionalità
- Il futuro delle biotech italiane, una promessa da mantenere
- Il congedo della ricerca
- La lezione di Stamina e quel che abbiamo rischiato davvero
Diritto e libertà
- Soccorso e pregiudizio
- Claudio Martelli: "Abolire reato di clandestinità e pattugliare coste africane"
- Parità per gli uomini. Dentro il tabù della questione maschile