hamas grande

Occorre scandalosamente dirlo, nell’orrore della carneficina. "Finalmente" ci sono tanti morti tra gli ebrei, forse pure bambini. "Finalmente" le vittime sono loro. Sono andati a cercarli casa per casa, li hanno presi in ostaggio. "Era ora" che la guerra la dichiarassero gli altri, che gli ebrei fossero messi sotto, perché lo stato di pericolo in cui vivono quotidianamente, in Israele e non solo, fosse riconosciuto come una condizione reale e non denunciato come un alibi politico.

Ora “finalmente” ci sarà qualcuno in più (forse) che avrà il coraggio di dire che Hamas è un'organizzazione terrorista, non una confraternita resistenziale, una banda di sequestratori e assassini di arabi, prima che di ebrei e che gli ebrei hanno il diritto di difendersi, che effettivamente ora i razzi sono abbastanza numerosi e abbastanza letali da fare in modo che essi appaiano indiscutibilmente le vittime e ne esca legittimato senza titubanze il sostegno ad Israele.

"Finalmente!"... ma non sentite anche voi come un amaro in bocca? Non vi torna in mente un passato che non passa? Un pregiudizio antico? Un antisemitismo originario?

Attenzione, il riflesso condizionato è profondo, e mentre ancora le bombe cadono, mentre ancora si contano i morti di un attacco (anche via terra) che non ha precedenti recenti, qualche analista si domanda come mai l'intelligence di Israele abbia fallito, indugiando sul piglio autoritario di Netanyahu, quasi evocando una sorta di "lascia passare" interno, in modo da legittimare la reazione violenta e terribile contro i palestinesi.

Ed altri, con riflessioni non meno infarcite di pregiudizi, accusano l'esercito e i politici israeliani di essere da tempo distratti dalla questione "riforma della giustizia" (quella contro l'autonomia dei giudici voluta da Netanyahu), fino a sottovalutare l'esigenza di sicurezza del Paese. Insomma, pur sotto le bombe o rapiti, gli ebrei o sono perfidi o sono stupidi!

Aveva ragione Marco Pannella, sionista convinto, la "salvezza" per Israele passa da due scenari da sempre inattuali, rivoluzionari, scevri da pregiudizio, aperti alla nonviolenza e ad una vera pacificazione: l'ingresso di Israele nell'Unione Europea, il superamento della dottrina "due popoli due Stati".

Perché Israele è da sempre europea - con la maggioranza dei suoi cittadini di origine continentale - e perché solo uno Stato pluralistico, fondato sull' ethos e non sull'ethnos, sullo stato di diritto e non sulle "ragioni di Stato", potrebbe estendere a tutti i palestinesi della Cisgiordania e di Gaza ciò che oggi è patrimonio dei cittadini israeliani di origine araba: quei diritti e quei doveri "occidentali" che fanno di Israele l'unica democrazia del Medio Oriente.

Ad oggi, invece, misuriamo il fallimento dei diversi estremismi in campo, delle opposte teologie politiche in azione, della "purezza" (araba o ebraica, poco importa) che inquina la vita sociale, politica, culturale della martoriata Terra Santa. Vorrei dire che oggi "siamo tutti israeliani" ma mi vergogno di ripetere uno slogan vuoto, oscuro, pieno di fraintendimenti e, soprattutto, pronto ad essere superato, rigettato, negato, al prossimo tornante violento della Storia.

Meglio sperare (spes contra spem), credere di credere, operare fattivamente, dall’Italia e da ovunque, per una reazione alle bombe e alle morti che sia moderata e finalizzata ad eliminare il pericolo, che non ceda alla tentazione dell'annientamento del nemico, che lasci sempre aperto uno spazio d'azione alternativo alle armi.

Le ebree Hannah Arendt e Agnes Heller l' hanno insegnato a tutto il mondo: "promessa e perdono" strutturano il mondo, perché la bellezza della "persona buona" (è buona gente la maggior parte degli israeliani e dei palestinesi) è la sola prova vivente della possibilità di futuro che ancora ci resta .