schlein conte grande

Pierluigi Bersani e il tandem Zingaretti-Bettini manifestarono la loro irresistibile attrazione per il Movimento Cinque Stelle ben prima di Elly Schlein. Nel loro caso l'intento – quantomeno l'intento esplicito – era quello di romanizzare i barbari, che tuttavia in prima battuta (2013) opposero il loro compiaciuto diniego in diretta streaming e in nome della purezza anti-consociativa; in seconda battuta (2018-2022), dopo aver partecipato in sequenza a maggioranze di governo con chicchessia, sembrava avessero effettivamente appreso “le buone maniere”… se non fosse che i barbari restano tali perfino dopo una triennale in Scienze Politiche (sostenuto l'ultimo esame, Paola Taverna, una delle grilline più “descamisade”, intimò piccata a Maria Elena Boschi di chiamarla “dottoressa”) e, terminata la stagione governista, il Mr. Hyde movimentista precedentemente narcotizzato è ritornato più feroce che mai, fra mille “gratuitamente”, ferma ostilità alla linea euroatlantica contro l'imperialismo del Cremlino, passamontagna e amenità affini.

Durante gli anni al governo, naturalmente, non erano mancate le avvisaglie delle pulsioni piazzaiole che cercavano disperatamente uno sfiatatoio e dunque dell’inefficacia annunciata dei programmi di romanizzazione: si ricordino da ultimo gli insistenti borbottii circa il supporto alla Resistenza ucraina e le pericolose misure sfascia-bilancio lasciateci in eredità dal bis-Conte – per non citare l'entusiastica adesione alla Nuova Via della Seta risalente alla stagione giallo-verde, quando l'addomesticamento della belva populista era ancora in corso d'opera. (Bene farebbe Meloni, in fase d'istituzionalizzazione anche lei ma ostile al velenosissimo soft power cinese da tempi non sospetti, a non ri-sottoscrivere l'accordo e bene ha fatto a ricorrere al Golden Power per tutelare Pirelli dall'assalto della Sinochem).

Sembra dunque che la posizione che il Pd di Bersani e quello di Zingaretti-Bettini si auto-assegnarono – rispettivamente nel 2013 e nel 2019 – sia stata col senno di poi ancillare, anziché “precettoriale”. Nel suo ultimo libro (A sinistra: da capo, PaperFIRST, 2022) Bettini rivendica il patrocinio dell'«incontro tra il Pd […] e il Movimento Cinque Stelle, trasformato via via, grazie a noi e grazie a Conte, in un partito democratico in grado di assumere responsabilità di governo e di collocarsi senza esitazioni nel contesto europeo». Inutile esprimersi sulla rispondenza al vero di questa visione delle cose.

Al medesimo ruolo ancillare, a quanto pare, aspira da ultimo Elly Schlein, la papessa straniera venuta dai gazebo. Nel suo caso, però, l'irresistibile attrazione per il Movimento Cinque Stelle sembra agire sul terreno comune del massimalismo più che attraverso una sorta di tensione pedagogica. Un massimalismo, beninteso, assai diverso da quello “tradizionale” – generato dalla prospettiva escatologica marxista, chiara e strutturata.

Semmai un massimalismo “disorganico”, perché poggiato su una piattaforma “ipo-ideologica” (così il Pd di Schlein); e un massimalismo “proteiforme”, perché poggiato su una piattaforma più radicalmente antiideologica (è il caso del M5S).
Wokismo (che è la più compiuta e demenziale manifestazione postmoderna del massimalismo), “anti-neoliberismo”, ecologismo da un lato; tutto e il suo contrario – trumpismo e progressismo, austerità e spendaccionismo ecc. – dall'altro, purché sempre senza alcun margine per compromessi di sorta e realistici e razionali percorsi gradualisti.

In ambedue i casi, dunque, non siamo di fronte un programma massimo al quale affiancare un programma minimo che stia al primo nello stesso modo in cui i mezzi stanno al fine; siamo semplicemente di fronte a un artificiosissimo e opportunistico alibi antiriformista.

Non è un caso che Schlein si ostini a individuare il suo contraltare più in Matteo Renzi – citato anche l’altro ieri in Direzione – che in Giorgia Meloni: i nemici dei massimalisti contemporanei non sono i post-fascisti (che semmai sono preziosi alleati, perché consentono loro di surrogare in un antifascismo di maniera quell'identità politico-ideologica che non vogliono o non riescono a definire); sono i riformisti, che preferiscono esporsi all'accusa di presappochismo piuttosto che a quella d'immobilismo e perciò preferiscono risultati appunto minimi, dimezzati, piuttosto che niente.

Le affinità ipo/anti-ideologiche fra Schlein e Conte si riverberano anche nel linguaggio esibito dai due. Il politichese forlaneggiante della prima e il burocratese azzeccagarbugliesco del secondo sono parimenti adoperati per occultare gli enormi vuoti che giacciono (dottrinalmente o temporalmente) fra una questione e un'altra. (E del resto tanto le circonlocuzioni di Arnaldo Forlani quanto quelle dell'avvocato Azzecca-garbugli – e i libri e le carte che questi esibiva nel suo studio – servivano a stendere una cortina di verbosità sul vuoto che incombeva dentro di loro).

E oggi s'abbracciano in piazza, la papessa straniera venuta dai gazebo e il fortissimo punto di riferimento di tutte le forze progressiste (copyright by Nicola Zingaretti), specchiandosi l'una nell'altro e vedendo tutt'e due… il nulla.