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Il berlusconismo è stato un fenomeno eccezionale, come il suo irripetibile protagonista, ma ha anticipato dinamiche che i processi di personalizzazione politica legati ai nuovi sistemi di comunicazione di massa hanno negli anni successivi replicato su larga scala, in Italia e fuori dall’Italia.

Da Grillo a Trump, da Macron a Zelensky sono ormai molti i casi in cui la popolarità di un personaggio e la sua rappresentatività di un subconscio collettivo sostanzialmente “antagonistico” contro la politica tradizionale si sono trasformati tout court in un travolgente successo politico.

In questo Berlusconi non si può considerare l’origine, ma certo l’anticipatore di una tendenza sempre più evidente nel cuore della democrazia occidentale, che può rinnovare come disgregare il funzionamento del sistema politico e delle istituzioni.

Rimane però il fatto che i partiti come mera piattaforma logistica di una leadership personale non solo non sono, né possono essere in sé democratici, ma non possono neppure servire al rafforzamento dei processi democratici, perché ne deteriorano il presupposto logico e ideologico fondamentale: quello per cui governi, parlamenti e partiti sono istituzioni impersonali e eccedono non solo nella durata, ma nella legittimità qualunque leader che il voto popolare innalzi, pro tempore, a una posizione di comando.

Se l’istituzionalizzazione della leadership prelude sempre al suo superamento, la sua eternizzazione carismatica trasforma qualunque leader in un santone e la sua comunità politica in una massa di profittatori o di fanatici. Che è esattamente quello che è successo a Forza Italia (non da oggi) e a cui porta indefettibilmente la pretesa di fare coincidere una storia con una biografia e un partito con una persona.

Neppure la Chiesa Cattolica, che è politicamente un’istituzione monarchico-teocratica, coincide con il Papa. Perfino dove la politica si è totalmente spogliata dal potere e si è fatta predicazione e provocazione pellegrina – in questo è esemplare proprio la storia radicale, cui Berlusconi ha guardato per anni con una simpatia ricambiata – la personalizzazione porta post mortem a esiti velenosi.

Si pensi a cosa è successo a quel mondo prima e dopo la morte di Pannella. Figurarsi cosa può succedere laddove la personalizzazione coincide con un pieno di potere politico ed economico e con un ordine in cui tutte le leve e tutti gli equilibri rimandano alla persona e alla parola del “sovrano”. È sicuro che in questo caso la sua inevitabile morte - perchè la morte di chiunque è inevitabile – sia vissuta e temuta come un’apocalissi cosmica.

Lo spettacolo di questi giorni, analogo a quello a cui si è assistito nelle precedenti occasioni in cui le condizioni di salute di Berlusconi si erano aggravate, è la conferma che il parossismo carismatico obbliga a rappresentazioni patetiche e grottesche, che non esprimono alcun sentimento davvero personale, ma inscenano liturgie collettive esorcistiche e propiziatorie.

Sembra davvero che Berlusconi non possa morire, come Steve Jobs, né congedarsi altrimenti dalla vita pubblica, come Winston Churchill o Ronald Reagan, senza che ne consegua una catastrofe nel mondo che ha costruito. Allora bisogna rappresentare lo sforzo eroico di un capo di quasi 87 anni, che pure dal letto di una terapia intensiva elabora i progetti e setta le agende per le sfide del futuro e telefona forsennatamente a parlamentari e ministri per dare la linea del presente. Possibile che non si veda quanto ai non partecipi delle vicende della Ditta appaia molesto e impietoso questo accanimento, questa rimozione o manomissione della dimensione intima e segreta della malattia, del dolore e della paura?

Alla fine una leadership così dirompente e moderna, come quella che Berlusconi ha saputo incarnare nel passaggio tra la cultura catodica e la comunicazione digitale, si ricongiunge paradossalmente, nei riti, nelle iconografie, nelle retoriche meste e conformiste, a quelle che accompagnavano il trapasso dei leader sovietici, a cui l’imbalsamazione offriva una triste sembianza di immortalità.