terzo polo grande

Le vicende della cosiddetta fase costituente del nuovo Partito Democratico, stanno definitivamente sancendo quanto fosse velleitario, ancorché per certi versi nobile, il tentativo renziano di modernizzare il PD. Matteo ci aveva creduto davvero, in qualche modo anche ingenuamente.

Anche dopo la sua fuoriuscita, ha continuato a pensare che il suo ex-partito potesse redimersi. Poche settimane prima delle elezioni del settembre scorso, egli continuava a conservare l’inconfessato sogno di un fronte comune progressista, tanto che nel suo ultimo intervento in Senato, a ridosso delle elezioni e prima che si consumasse la rottura, si rivolse ai senatori Dem chiamandoli “compagni del PD”. D’altronde lo stesso Calenda fino a pochi mesi fa dichiarava la necessità di un fronte comune col PD per arginare l’avanzata delle destre. Detto oggi fa indubbiamente una certa impressione.

Quello del posizionamento strategico è un tema certamente critico per il successo del terzo polo. La convinzione talora sottaciuta, che l’unica alternativa possibile al populismo sia rappresentata dal fronte della sinistra riformista, porta a immaginare il PD come unico possibile alleato e costringe a impostare la propria strategia proprio sul tentativo di redimere i Democratici e liberarli dal mortale abbraccio grillino.

In realtà, l’alternativa al populismo non può che essere trasversale rispetto allo schema destra/sinistra giacché deve fare i conti con un contesto totalmente nuovo. Esso è caratterizzato dal confronto fra una narrazione bi-populista e una proposta alternativa che ancora tarda a strutturarsi compiutamente. La contraddizione destra/sinistra si consuma in modo retorico nell’ambito del fronte bi-populista e appare coma secondaria. Il populismo cosiddetto di destra e quello cosiddetto di sinistra in realtà si assomigliano molto: entrambi si fondano sulla retorica del popolo, entrambi scaricano ogni responsabilità su nemici più o meno immaginari, entrambi declinano la loro cultura del nemico in atteggiamento manettaro, entrambi testimoniano un atteggiamento esistenziale moralistico, entrambi propongono ricette stataliste e assistenzialiste.

Naturalmente si tratta di elementi riscontrabili nella cultura politica della destra sociale, ma anche, e per certi versi soprattutto, nella cultura politica della sinistra. Per questa ragione anche la narrazione alternativa a quella bi-populista non può che essere trasversale rispetto allo schema destra/sinistra e non può essere riconducibile tout court alla sinistra riformista né alla buona destra. Il cosiddetto terzo polo, embrione dell’alternativa al bi-populismo, è dunque chiamato a fare chiarezza sul proprio posizionamento strategico.

Le vicende interne al PD di queste settimane, diciamolo, favoriscono un nuovo posizionamento da parte del terzo polo. Il ritorno in pompa magna della fronda comunista, la costruzione di uno scenario “neo-liberista” come nemico immaginario da sconfiggere e l’ingresso fra gli applausi di Boldrini e Giarrusso, posizionano inequivocabilmente e definitivamente il PD nel fronte bi-populista e indeboliscono, si spera, la “sindrome dell’ex” da parte dei leader e simpatizzanti del terzo polo. Alla svolta all’indietro del PD, deve corrispondere un salto in avanti del terzo polo

Quali elementi devono dunque caratterizzare il posizionamento strategico del terzo polo?
1. Innanzitutto è necessario, già lo dicevo, prendere definitivamente coscienza del fatto che la contraddizione destra/sinistra è divenuta secondaria.
2. Occorre conseguentemente elaborare una narrazione trasversale, appetibile per qualunque elettore, nessuno escluso.
3. L’equidistanza da destra e sinistra non deve derivare da una vocazione moderata e centrista, ma dalla volontà di porsi “oltre” il vecchio paradigma.
4. Le eventuali alleanze con populisti di destra o di sinistra, tanto sul piano locale quanto su quello nazionale, devono essere finalizzate a condizionarne le politiche di governo e non devono avere alcuna pregiudiziale di tipo ideologico.
5. Il soggetto politico predestinato non può certo essere rappresentato da una federazione di partitini personali o elitari di ex-PD e deve porsi oltre gli angusti steccati di Azione e Italia Viva: non c’è bisogno di un partito unico, c’è bisogno di un partito nuovo.
6. La narrazione alternativa a quella bi-populista deve essere espressa con un linguaggio nuovo, coerente con i paradigmi della nuova epoca, nella consapevolezza di come il termine “socialista” appaia oggi del tutto superato, ma anche di come il termine “liberale” abbia perduto nel percepito comune ogni capacità identitaria.

Si capisce, non è una sfida facile, non solo perché ognuno di questi elementi implica un salto culturale, ma soprattutto perché ognuno di essi va declinato in coerenti azioni politiche. Saprà il terzo polo raccogliere la sfida? Sarà possibile vincerla con le attuali leadership? Solo una fase effettivamente costituente di un partito davvero nuovo, potrà dare le risposte.