calenda renzi grande

Renzi e Calenda amici nemici? É uno dei refrain del momento. Secondo molti commentatori, l’uno ammicca alla Meloni, mentre l’altro ne dice peste e corna. Così fra i due, si dice, cova il conflitto sotto la cenere. Stando ai fatti, sulla fiducia al nuovo governo Italia Viva e Azione si sono mosse in modo unitario e, come annunciato e previsto, hanno votato contro.

Tutto normale? Tutto ovvio? Tutto scontato? No. No, perché in qualunque altra democrazia parlamentare europea (il caso della Francia é diverso), un governo come quello di Giorgia Meloni, caratterizzato sulla carta, stando alle dichiarazioni, da un intento liberale, garantista, atlantista ed europeista, avrebbe il sostegno dei liberal-democratici. In qualunque altro paese europeo, i liberal-democratici perseguirebbero infatti l’obiettivo di potenziare la vocazione liberale del governo e assicurare la coerente attuazione degli intenti dichiarati.

Certo, mica si tratta del governo perfetto, anzi, ma con le coalizioni e le difficili coabitazioni che esse comportano, un partito adulto deve saper fare i conti: bisogna saper mettere da parte il purismo quando c’è di mezzo l’interesse nazionale. I renziani lo sanno bene, visto che, proprio per salvaguardare l’interesse nazionale, nella passata legislatura hanno dato vita e partecipato con propri ministri a un governo guidato da Giuseppe Conte che contava su ministri del calibro di Boccia, Provenzano, Di Maio, Bonafede, Azzolina, Speranza, Franceschini, Dadone.

Oggi, fra un governo con un intento liberale tutto da verificare e un’opposizione egemonizzata da Giuseppe Conte e dal suo sconcio populismo già tutto ampiamente dimostrato, un partito adulto deve saper scegliere. Con questo non voglio dire che Renzi avrebbe dovuto spiazzare tutti, annunciando un’astensione o addirittura un sostegno esterno al governo, so bene che non ci sono le condizioni politiche per compiere un simile gesto, anche considerando la modesta credibilità degli intenti liberali dichiarati dalla Presidente incaricata.

Anche quando gli intenti meloniani fossero sinceri e realistici, come potrebbero esserci le condizioni politiche per un atteggiamento diverso, dopo una campagna elettorale vissuta all’insegna del “mai con la Meloni” e della piuttosto bislacca proposta del “Draghi bis”? Inoltre un simile colpo di teatro avrebbe inevitabilmente compromesso le sorti già incerte della nascente federazione, per non parlare di come avrebbe reagito buona parte dei terzopolisti, in buona misura tuttora afflitti dal “complesso della sinistra”. Si ha ampia dimostrazione di ciò, con i dichiarati “mal di pancia” della base di Azione a causa delle nomine in ruoli apicali di Carfagna e Gelmini, quando invece esse stesse rappresentano un valore aggiunto irrinunciabile che evita al terzo polo di schiacciarsi sull’immagine stantia di “anima bella e riformista della sinistra”.

In sostanza, occorre generare nuove condizioni politiche. Come? Costituendo un partito liberal-democratico che sappia fare il partito liberal-democratico. Il terzo polo non lo é. Non lo é perché tanto Azione quanto Italia Viva nascono da scissioni o distacchi dal PD e, da ex-PD, sono condizionati nella concreta adozione di un atteggiamento autenticamente equidistante da destra e sinistra. Ma di una forza autenticamente liberal-democratica, liberata dai vecchi complessi, c’è bisogno, ne ha bisogno il sistema democratico italiano.
E allora che fare? Davvero si pensa che la soluzione consista nel federare e poi magari fondere in un partito unico i due piccoli partiti di Renzi e Calenda? Non si otterrebbe altro che un piccolo partito unico, comunque afflitto dalla “sindrome dell’ex”.

Il terzo polo, non andando oltre se stesso, resterebbe a metà del guado, finendo per affidarsi, per sopravvivere, alla sagacia tattica di Matteo Renzi. Di certo egli utilizzerebbe il terreno delle riforme istituzionali per garantirsi un ruolo, uno spazio e un’agibilità. Ma galleggiare a metà del guado non rappresenterebbe di certo un orizzonte entusiasmante. Ci vuole altro. E non basta un “cambio di passo”, per usare un’espressione tipicamente renziana, ci vuole lo squadernamento che solo una fase costituente di un soggetto terzo che vada altre l’esperienza di Azione e Italia Viva, potrebbe generare.

Occorre ripartire da energie nuove per mettere mano a una visione davvero convincente e attraente, a un modello organizzativo innovativo e a una leadership rinnovata. Soprattutto bisogna ripartire da un “foglio bianco” per quanto attiene la definizione del posizionamento, consapevoli della necessità di porsi oltre lo schema destra/sinistra e, se del caso, poter condizionare in senso liberale le altre forze e coalizioni, tanto a destra quanto a sinistra.

Quand’anche si optasse prima o dopo per l’adozione di un sistema di tipo presidenziale, un partito disancorato dalle nevrosi della sinistra, potrebbe più facilmente rivolgersi a tutti gli elettori e porsi come credibile alternativa al bi-populismo. Renzi e Calenda possono scegliere di andare oltre loro stessi, dando vita a una fase costituente vera, aperta e accogliente, possono esprimere un alto esercizio di leadership con un gesto di lungimiranza politica e generosità personale. Hanno di certo le capacità e l’intelligenza per farlo. La storia, sì, la storia, gliene renderebbe merito.