Elisabetta II grande

“Monarchia” può, tocquevillianamente e sul piano squisitamente teorico, essere inteso come esatto contrario di “democrazia”: l'esistenza stessa di una pur ristrettissima cerchia di persone superiori, sul piano politico-istituzionale e sociale, a tutte le altre, a tutti i sudditi, per l'appunto, è di per sé scandalizzante, con un po' di enfasi si potrebbe dire perfino “anti-giusnaturalistico”; la non-elettività e la durata vitalizia della carica di vertice dello Stato e finanche la devozione dei sudditi (“sudditi”!) dall'esterno possono apparirci come antiquariato istituzionale e sociale.

Ma “il caso Regno Unito”, specie se raffrontato al caso che più ci riguarda e cioè “il caso Italia”, è interessantissimo per misurare lo scarto fra forma e sostanza, fra le cose e il nome delle cose, tra la coerenza logica delle costruzioni teoriche e le funzionalissime aporie della realtà così come s'è stratificata di secolo in secolo.

La monarchia della Magna Charta, dell'Habeas Corpus, della Gloriosa Rivoluzione, del Bill of Rights, una monarchia nella quale la figlia del droghiere – detestata dalla Regina, en passant, come tutti puntualmente si sono premurati di scrivere – può diventare Primo Ministro e stoppare l'inflazione a due cifre e la deriva statalista con la fermezza di chi ha letto e interiorizzato Friedrich von Hayek (secondo un arcinoto aneddoto durante un vertice dei Tories la Thatcher sbatté sul tavolo una copia de “La società libera” esclamando perentoria «this is what we believe!»); ecco, questa è una monarchia paradossalmente assai permeata di… spirito repubblicano: la res publica, la cosa pubblica è tale perché accessibile a chiunque e “pilotabile” da chiunque, nel rispetto del mandato degli elettori e senza interferenze da parte di procure interventiste nel caso venisse avviata una stagione riformista particolarmente impattante; e i sudditi che hanno voce in capitolo sul Premier (quantomeno sul primo della legislatura) e si scelgono il parlamentare nei collegi uninominali (veri… mica farlocchi come quelli del Rosatellum, una legge elettorale pensata per umiliare l'elettore) saranno pure al servizio di Sua Maestà, come amano affermare James Bond e Johnny English, ma sono… cittadini.

Una Repubblica, per quanto blindata come tale da una Costituzione scritta e rigida (secondo l'art. 139 la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale), in cui l'unica rivoluzione conosciuta è quella giudiziaria del '92-'93, rivoluzione che peraltro fu assai poco rispettosa della filosofia sottesa all'Habeas Corpus, e da trent'anni alterna governi perlopiù consociativi che distribuiscono pane e brioches sfasciando i conti pubblici e tecnici che devono venire a ri-sistemare la cassa, è una Repubblica non all'altezza del suo nome; e i cittadini che si affollano sotto ai palchetti elettorali per chiedere bonus e super bonus e prebende e posti fissi ecc., blanditi da programmi elettorali che sono liste dei desideri e da mille “gratuitamente”, saranno pure nominalmente cittadini ma sono sostanzialmente… sudditi.

Poi, certo, per restare agli anni più recenti, se Sergio Mattarella l'exploit dell'euroscetticismo non solo l'ha gestito con una maestria più unica che rara, ma è perfino riuscito a convertire i populisti più descamisados al draghismo, la Regina ha lasciato – per self-restraint o per disinteresse sarebbe parimenti grave, agli occhi di scrive – che l'uragano della post-verità trascinasse il Regno Unito lontano dall'Unione Europea; e, ancora, è evidente che la temporaneità e l'elettività della carica di Presidente della Repubblica responsabilizzano gli elettori presidenziali e lasciano un margine di correzione, si tratti di messa in stato d'accusa o non rielezione, assai rassicurante, mentre re e regine sono lì quasi sempre per nascita e a vita (per dirla male e coi dovuti distinguo, un conto è avere Mattarella al vertice dello Stato, un altro Carlo III).

Ma, tutto ciò detto, non è il caso di tirar fuori complessi di superiorità o, peggio, sopite ostilità contro “la perfida Albione”: è il caso, semmai, di imparare a guardare oltre la superficie e, magari, provare a importare un po' di individualismo empirico di fattura anglosassone qui nella Silicon Valley dei populismi.