draghi conte grande

È singolare che il decorso della crisi politica della maggioranza – una malattia nella malattia del sistema politico, un epifenomeno della deriva non solo nichilista, ma suicidaria del mainstream populista – sia finito interamente sulle spalle di Draghi proprio nel momento in cui, per dignità, amor proprio, sfinimento o voglia di libertà lo stesso Presidente del Consiglio sembrava volersene liberare.

Pare adesso che il mondo intero, da Biden alla conferenza dei rettori, da Von Der Leyen agli ordini e alle associazioni professionali minori, implori Draghi di resistere agli affronti e ai ricatti, di ribadire la propria linea e di rimanere ancora 8-9 mesi in carica per evitare che la parentesi rappresentata dall'esecutivo si chiuda, restituendo anticipatamente la politica italiana a una umiliante normalità di promesse non mantenute e di frustrazioni non vendicate e all’abitudine di plebiscitare un nuovo “salvatore” per poi disgustarsene e cercarne un/un' altro/altra, intanto affidando a un curatore o un amministratore di sostegno (Draghi o “un Draghi”) la gestione di una cronica e pericolosa minorità democratica.

Ci sono ragioni per pensare che il sacrificio dell'ex presidente della BCE e la sua disponibilità a portare la croce di un Paese impresentabile sia una necessità patriottica, un modo per salvare nell’immediato l'Italia dal disastro e gli italiani da se stessi, ma ci sono anche ragioni altrettanto forti e razionali per ritenere che un Draghi bis, in qualunque forma, a questo punto sia un escamotage che, oltre a sporcare la reputazione dell’italiano oggi più rispettato in patria e nel mondo, è destinato solo a rinviare e non a impedire il default del sistema politico italiano.

Anche prescindendo dalle decisioni che prenderanno i partiti – il M5S si accontenterà di un segnale, la destra forza-leghista rinuncerà ad andare al voto per incassare il dividendo del disastro? – è evidente che il rovello di Draghi oggi è la rappresentazione della gravità e (purtroppo) della non serietà della situazione politica di un Paese, in cui il presunto “adulto nella stanza”, cioè il PD, ha il solo problema di non rottamare il M5S, per non dovere rinnegare tre anni di sciocchezze sul populismo gentile e democratico di Conte, fortissimo riferimento del mondo progressista.

Se pure si determinassero le condizioni numeriche e politiche per continuare, non sapremmo cosa augurare a Draghi, pure continuando ad augurarci, per timore dell'alternativa, che non sloggi così presto da Palazzo Chigi, che ingombri ancora finché può la scena di una politica inguardabile: peraltro, in grandissima parte, impegnata solo a lasciarsi alle spalle il suo esempio e lucrare qualcosa sul suo lascito.