casalino conte grande

Oggi il Presidente Conte ha rassegnato le proprie dimissioni al Capo dello Stato. Finalmente si potrebbe dire, nel solo senso di essere giunti tardivamente all’inevitabile epilogo di questa crisi politica.

Al riguardo, potremmo osservare l’abuso del concetto di responsabilità nel dibattito politico che spesso è chiamato a celare umanissimi egoismi, come quello di non perdere la propria posizione di potere.

Nessun moralismo di maniera. Entro determinati limiti è fisiologico che l’interesse personale sia il principale motore delle azioni umane. Non lo è più quando, tra l’altro, non si ha più la lucidità per comprendere che la partita è irrimediabilmente persa e si vuole ostinatamente continuare a giocarla arroccandosi in una difesa destinata a rilevarsi sterile.

Ciò è quello che sembra essere accaduto in queste due lunghe settimane dalle dimissioni delle ministre di Italia Viva. Invece di prendere atto della necessità di formalizzare immediatamente la crisi di governo, si è voluto dare vita ad un disperato tentativo di sopravvivenza che avrebbe tutt'al più potuto garantire un galleggiamento precario per qualche tempo prima di fallire.

Oggi finalmente si è compiuta, seppur malvolentieri, l’unica reale scelta a disposizione, appunto le dimissioni. La crisi di governo è dunque ora formalmente aperta. Da domani pomeriggio si apriranno le consultazioni con i gruppi parlamentati secondo un calendario che ancora non è noto. Quando scriviamo non sappiamo ancora se si formerà un nuovo gruppo parlamentare al Senato che potrebbe agevolare la nascita di un governo Conte III.

Ma per le considerazioni che andiamo a svolgere ciò non importa, in quanto non si intende formulare l’ampia casistica di possibili governi, magari per promuoverne alcuni in favore di altri sulla base delle personali preferenze, quanto piuttosto succintamente ragionare sulla principale scelta da compiere: proseguire o meno la legislatura.

Sono diversi gli elementi che potrebbero propendere in favore dello scioglimento anticipato delle Camere:

1) La necessità di eleggere il prossimo Presidente della Repubblica con un collegio elettorale conforme all’ultima riforma costituzionale che accresce significativamente il ruolo dei delegati regionali in virtù del drastico calo dei parlamentari.

2) Il Parlamento attuale è ormai sideralmente lontano dagli attuali consensi, nel senso che la rappresentanza delle diverse forze politiche ha subito un radicale rimescolamento per cui la principale forza parlamentare oggi è verosimilmente la terza, se non addirittura la quarta, forza nel Paese.

3) La necessità di approvare un piano di lungo periodo come il Recovery Plan che richiederebbe un’ampia legittimazione politica e una prospettiva temporale di almeno cinque anni per seguire la parte prevalente della sua attuazione.

Come è noto, una delle principali obiezioni al ricorso immediato al voto è dato dall’argomento che in questo caso sarebbe schiacciante la vittoria delle forze cosiddette “sovraniste”. Prescindiamo anche dal fatto che questa argomentazione ha un sapore manicheo che non si condivide, secondo il quale un determinato esito del voto popolare sarebbe buono e giusto e un altro invece no e anzi dovrebbe essere impedito ad ogni costo. D’altronde, questa era la ratio fondamentale per il varo del Governo che si è appena dimesso. E proprio il suo triste epilogo dovrebbe indurre a riflettere sul corto respiro che hanno certe scelte.

Inoltre, come scrive oggi D’Alimonte sul Sole 24 ore, oggi i due principali schieramenti non hanno un distacco elettorale così netto sui sondaggi e dunque la partita elettorale potrebbe essere aperta se si accettasse di giocarla alla pari, senza complessi di inferiorità o paura di perdere. Ciò è ancor più vero soprattutto se si tiene a debito conto che oggi il voto sarebbe inevitabilmente condizionato dal dibattito sugli aiuti europei e quindi potrebbe avvantaggiare le forze cosiddette “europeiste”.

Ma anche in caso di vittoria dell’attuale centro destra, coloro che la avversano dovrebbero tenere conto della possibile distribuzione del consenso al suo interno, ove verosimilmente Forza Italia potrebbe ancora avere un peso rilevante per la maggioranza e dunque svolgere un ruolo di garanzia europeista. Domani invece chissà. A tal proposito è possibile osservare come il rinvio della verifica elettorale al naturale termine della legislatura possa favorire la polarizzazione del voto in favore delle componenti più radicali di ogni schieramento, soprattutto perché allora probabilmente potrebbe essere esplosa in tutta la sua violenza la crisi sociale ed economica che sta covando sotto le ceneri di ristori, sussidi, moratorie e divieto di licenziamenti che per ora abbandonano.

Queste sono considerazioni che vanno tenute presenti da parte di chi invece ritiene preferibile, o inevitabile, il proseguimento della legislatura. È, infatti, indubbio che il combinato disposto tra taglio dei parlamentari e crollo elettorale del M5S fa ritenere molto probabile quest’ultimo scenario. Non c’è nulla di scandaloso in questo, nel senso che pare normale che un eletto con scarsissime possibilità di esserlo ancora auspichi (e si operi per) soluzioni “responsabili”. Semmai la scelta scellerata è stata quella di mutilare così radicalmente la rappresentanza parlamentare, ma ormai pare inutile piangere sul latte versato e occorre rispettare la volontà popolare che si è espressa.

Peraltro, tale volontà incontra anche più nobili argomentazioni fornite dallo stesso autore citato sopra, il quale, dopo avere affermato che i due schieramenti non sarebbero poi così lontani, osserva che l’attuale legislazione elettorale favorirebbe in concreto il centro destra, politicamente più omogeneo, rispetto allo schieramento avversario che difficilmente potrebbe presentarsi insieme, in tutta la sua ampiezza, nei collegi uninominali.

Pertanto, la legislazione elettorale vigente sarebbe inadeguata a consentire un sostanziale confronto alla pari, a causa del peso ancora troppo rilevante del M5S e del suo ruolo respingente per una parte dell’elettorato di centro sinistra. In queste circostanze, appare comprensibile, e forse anche condivisibile, la scelta di portare avanti la legislatura, purché si tenga conto di quanto scritto e cioè si evitino soluzioni pasticciate che abbiano l’esclusiva ragione di evitare le urne.

Sarebbe preferibile una soluzione di maggior respiro rispetto all’esperienza di governo appena naufragata che possa procedere a:
1) una scelta ampia sul Recovery Plan e sul prossimo Presidente della Repubblica, nella consapevolezza che in queste straordinarie circostanze questi temi strategici e di lungo termine richiedano uno sforzo corale;
2) una formula e una formazione di governo qualitativamente attrezzata alla complessità della sfida da affrontare.

In definitiva, oggi occorre mobilitare le migliori risorse umane a disposizione con inevitabili ripercussioni sulla formula di governo, perché l’offerta di competenze di assoluto pregio non si distribuisce simmetricamente tra le forze parlamentari, anzi. Forse questo sembra essere uno dei principali elementi di criticità di questa legislatura, ossia che la forza di maggioranza relativa è la più carente sul piano dell’offerta di classe dirigente.

In conclusione, paradossalmente, la legislatura può proseguire con successo purché la forza di maggioranza relativa accetti il suo ridimensionamento governativo, in sostituzione di quello (molto più doloroso) elettorale, favorendo suo malgrado la nascita di un governo che sancisca la fine simbolica dell’uno vale uno, in quanto espressione delle migliori energie soprattutto in materia economica che rappresenta la vera prossima sfida mortale per il Paese.

Non è più il tempo dei dilettanti allo sbaraglio, purtroppo.