Capodanno: la resa di Mattarella al governo gialloverde
Istituzioni ed economia
Ho condiviso e accettato tutte le proposte per i ministri, tranne quella del ministro dell'Economia. La designazione del ministro dell'Economia costituisce sempre un messaggio immediato, di fiducia o di allarme, per gli operatori economici e finanziari (…) È mio dovere, nello svolgere il compito di nomina dei ministri che mi affida la Costituzione essere attento alla tutela dei risparmi degli italiani. In questo modo, si riafferma, concretamente, la sovranità italiana. (27 maggio 2018)
Ieri sera ho promulgato la legge di bilancio nei termini utili a evitare l'esercizio provvisorio, pur se approvata in via definitiva dal Parlamento soltanto da poche ore. Avere scongiurato l’apertura di una procedura di infrazione da parte dell'Unione Europea per il mancato rispetto di norme liberamente sottoscritte è un elemento che rafforza la fiducia e conferisce stabilità. (31 dicembre 2018)
Il Presidente della Repubblica, nel suo discorso di fine anno, ha sostanzialmente alzato bandiera bianca di fronte al governo gialloverde, e circoscritto la sua azione a un’opera (inascoltata) di moral suasion. È una trasformazione sostanziale rispetto ad appena sette mesi fa, quando, in nome del suo dovere costituzionale di tutela del risparmio - art. 47 della Costituzione: «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme» - aveva preteso e ottenuto la sostituzione del ministro designato dell’economia Savona con Giovanni Tria.
Da allora abbiamo visto proprio Tria difendere davanti alla Commissione Europea un progetto di legge di bilancio devastante per i nostri conti pubblici, e quindi per risparmi degli italiani, che sarebbero stati attaccati sia dalla crisi dello spread e dal conseguente rischio di scivolamento fuori dall’Eurozona, che dalle misure di emergenza che sarebbero state messe necessariamente in atto per tentare di scongiurare quell’eventualità. Quella legge di bilancio è stata bocciata dalla Commissione, e di nuovo è stato Tria ad ottenere il via libera a una manovra che riesce a rispettare formalmente i parametri previsti sul rapporto deficit/Pil solo in virtù di una enorme ipoteca proprio sui risparmi degli italiani.
Giovanni Tria, l’uomo del Presidente nel Governo gialloverde, non avrebbe potuto essere altro che quel che in effetti è stato, ovvero una fragile foglia di fico. Se era legittimo sperare che, pur non avendo voce in capitolo sui contenuti della politica economica, potesse quantomeno custodirne i saldi, oggi l’approvazione della manovra economica mostra come anche questa speranza fosse sostanzialmente vana e malriposta. Tria ha fallito, e il discorso di Mattarella sembra essere la definitiva presa d’atto di questo fallimento.
Dire di avere promulgato la legge di bilancio - seppure con quei saldi e seppure approvata con le modalità che conosciamo, con il Parlamento impossibilitato a conoscere l’oggetto del voto - per evitare l’esercizio provvisorio, è come ammettere di non aver fischiato un fallo da rigore all’ultimo minuto per evitare di andare ai tempi supplementari. Piuttosto, pochi mesi di esercizio provvisorio - ovvero di applicazione della stessa legge di bilancio per un massimo di 4 mesi - avrebbero obbligato il Governo e la maggioranza a fare quel che invece non farà, nonostante le esortazioni (vane, siamo pronti a scommettere) del Presidente: correggere gli errori, almeno i più macroscopici, e riportare i contenuti di politica economica all’esame del Parlamento: «la grande compressione dell’esame parlamentare e la mancanza di un opportuno confronto con i corpi sociali richiedono adesso un’attenta verifica dei contenuti del provvedimento. Mi auguro – vivamente – che il Parlamento, il Governo, i gruppi politici trovino il modo di discutere costruttivamente su quanto avvenuto; e assicurino per il futuro condizioni adeguate di esame e di confronto».
Tutto questo non avverrà, e di questi sette mesi rimane solo una manovra economica approvata e promulgata in extremis, che obbligherà il Governo tra sei mesi a scegliere se applicare le clausole di salvaguardia da 52 miliardi previste, portando l’Iva oltre il 25 percento, oppure aggredire proprio il risparmio degli italiani con una mega-patrimoniale, oppure lasciare schizzare di nuovo il rapporto deficit/Pil oltre il 3 percento, rimettendoci direttamente in rampa di lancio per l’Italexit; il tutto con buonissima pace dell’art. 47 della Costituzione, e del suo estremo garante. Savona non avrebbe saputo fare di meglio.