Mattarella e la rassicurante inutilità dei rimproveri paterni
Istituzioni ed economia
Belle le parole di Mattarella, sicuramente giuste ed equilibrate, ma proprio non riesco ad appassionarmi ai discorsi presidenziali di fine anno, e non da oggi. Al contrario mi ha sempre colpito la retorica dell’applauso di rito all’istituzione come simbolo, anche da parte di chi quotidianamente predica valori lontani da quelli evocati dall’istituzione medesima.
Perché è difficile pensare che l’istituzione (con il suo stesso significato) e quei valori possano dissociarsi. A meno che si scelga di non dare reale valore né alla prima né ai secondi, propendendo per un’adesione appunto rituale, ovvero strumentale, vuota. Il fatto è che noi siamo un po’ ammalati di simboli, e quello del presidente è uno dei più rilevanti, nella dimensione di paternità, o comunque di genitorialità che esprime. E abbiamo davvero tanto bisogno di vecchi padri che dopo qualche cazzata ci rimettano in riga, con la forza dell’autorevolezza, di un discorso misurato, di buon senso.
Temo tuttavia che in assenza di un quotidiano e soprattutto autonomo esercizio di quel buon senso, l’episodico e immancabile richiamo - pur puntuale - rischi di risolversi in una mera liturgia, sostanzialmente irrilevante. Un esercizio di responsabilità, insomma, che non responsabilizza e non mette in riga davvero nessuno.
Come se dopo la sgridata al figlio coglione, pur deferente e pentito durante l’ascolto della reprimenda dovuta, quello ritornasse subito all’esercizio della sua coglioneria, per nulla coinvolto dall’idea di crescere e migliorarsi. Del resto faccio fatica a immaginare un altro paese in cui il Capo dello Stato, solitamente ottuagenario, rimbrotti Governo e Parlamento quasi fossero scolaretti. Da noi invece è prassi, e ciò che è sconcertante è che alla politica vada benissimo così.
Ricordo il compiacimento di tanti addetti ai lavori di fronte alle pesantissime accuse di Napolitano, in Parlamento, a un intero sistema. Sistema che probabilmente non fu mai tanto pentito e tanto deferente verso il “padre” come in quei giorni. Ma poi, dopo, cosa è cambiato? Ci sono stati miglioramenti? Verrebbe da dire esattamente il contrario.
In questo schema, insomma, diventa difficile per "i figli" emanciparsi davvero, diventare adulti responsabili, e nella fattispecie politici responsabili e credibili. Non è colpa di nessuno in particolare, tantomeno di Mattarella (anzi), è che persino la nostra struttura istituzionale si permea di un certo nostro modello familiare tradizionale. Che ha diversi pregi ma anche alcuni difetti, e la criticità “culturale” del passaggio all’età adulta è uno di questi.
Renzi ha parlato spesso di “rottamazione del vecchio”, a mio avviso cogliendo solo un aspetto del problema. Puoi “uccidere il padre”, come spiega la psicanalisi, ma devi subentrargli nella forza di esempio e testimonianza, oltre che nel ruolo. Altrimenti il padre non si leva di mezzo, tu fondamentalmente non cresci e il risultato è un equivoco di ruoli: un gran casino, tanto in famiglia quanto in politica.