Giorgetti grande

Giancarlo Giorgetti, consegnando le proprie confidenze politiche a Bruno Vespa, ha fatto qualcosa di più che regalare materiale prezioso alla strenna natalizia con incorporato pettegolezzo politico, di cui il conduttore di Porta a Porta è ineguagliato produttore seriale. Ha espresso un giudizio storico impegnativo sulla fine prossima ventura del sovranismo e da questo giudizio ha tratto la legittimazione della sua linea europeista e moderata, contro quella nazionalista e estremista di Salvini. Ppe contro Le Pen, Meryl Streep contro Bud Spencer (le metafore dei politici sono sempre un po’ approssimative e ridicole nel loro voler essere icastiche e ironiche).

Prescindiamo pure dal fatto che l’ottimismo di Giorgetti male si sposa con la sua ambizione di fare del Carroccio una forza “non sovranista”: il territorialismo leghista è sempre stato sovranista, sia in salsa separatistico-padana che in versione nazionalistico-italiana e un leghismo diverso sarebbe una contraddizione in termini, senza precedenti né radici nella storia, anche nella più remota, dell’ex partito del Nord.

In ogni caso è proprio l’ottimismo in sé a suonare prematuro e mal riposto. Giorgetti, che ha un curriculum di fedeltà e di servizio a tutti i capi leghisti e che ha ribadito la propria “obbedienza” a Salvini, sembra avere ragionato così: andava bene essere lepenisti, orbaniani, bolsonariani, trumpiani e putinisti quando nell’intero emisfero occidentale il risentimento e la paura delle vittime della globalizzazione esigeva risposte cattiviste, discriminatorie, etno-nazionaliste e protezioniste. Ma ora che il vento è cambiato, deve cambiare anche la strategia.

Che il vento sia così cambiato, che il pericolo, per alcuni o la cuccagna, per altri dell’onda sovranista sia alle nostre spalle è stato smentito, tra le altre cose, dall’esito delle elezioni in Virginia, di cui Alessandro Maran ha raccontato su il Riformista svolgimento e esito. I democratici hanno perso il governatore di uno Stato in cui Biden aveva battuto Trump di dieci punti. Il neo-governatore Glenn Youngkin ha un profilo moderato, non è un trumpiano ed è riuscito a impacchettare una coalizione che ha recuperato il voto dei sobborghi (andato a Biden nel 2020) con un messaggio rassicurante, ma ha galvanizzato i supporter dell’ex presidente e padrone del Gop cavalcando campagne anti-anti-razziste e vellicando la frustrazione dell’uomo bianco, che rimane il sentimento trainante del “Make America Great Again” come movimento politico.

Da questo risultato, che molti analisti considerano un segnale d’allarme rovinoso in vista delle elezioni di mid term, si possono trarre alcuni insegnamenti assai poco ottimistici sulla fine prossima del sovranismo.

Il primo è che il partito repubblicano americano torna a vincere pur essendo ancora chiaramente nelle mani di un ex presidente che era uscito dalla Casa Bianca aizzando i suoi seguaci all’invasione del Campidoglio. Il secondo è che le posizioni sovraniste sono elastiche e non solo non sono incompatibili con posizioni più moderate, ma sono anche in grado di inglobarle in modo “efficiente”. Il terzo e il più profondo insegnamento è che non bisogna confondere l’irrazionalità grottesca dei motivi che spingono il voto sovranista con la sua fragilità.

Anzi, per certi versi il voto sovranista è forte proprio perché è irrazionale e perché gratifica di una risposta magica una serie di disagi assolutamente reali, legati alle divisioni profonde della società occidentale, a partire da quella etnico-demografica. Anche l’Italia, del resto, conferma in fondo che Salvini arretra non per un riflusso di opinione anti-sovranista, ma per un deflusso di consenso intra-sovranista a vantaggio di Giorgia Meloni e del suo partito, considerato meno compromesso nei giochi di Palazzo della legislatura.

Insomma, la morte del sovranismo di massa in Occidente purtroppo non è prossima e non sarà “naturale”, perché è legata a fenomeni politici, sociali, economici e demografici assolutamente strutturali. Il sovranismo potrà essere "ammazzato" solo da una alternativa che fronteggi razionalmente tutte le paure reali che lo originano e tutti i pericoli irreali, auto-prodotti dagli impresari del caos. Ma il sovranismo non morirà certo perchè è cattivo, come succede, per tornare alle metafore cinematografiche di Giorgetti, solo nei film western edificanti.