Palma barcatricolore

Già a leggere l’elenco delle ipotetiche vittime dei dazi che potrebbero essere imposti da Trump su alcuni prodotti europei si ottiene un’idea piuttosto precisa di come è fatto il mondo del protezionismo e delle guerre commerciali.

Un mondo in cui interi settori produttivi, spesso singole imprese, vengono usate e sacrificate nel nome di una forma delirante e ottocentesca di realpolitik. Quest’anno facciamo gli interessi dell’acciaio o sacrifichiamo la barbabietola da zucchero? Come rispondiamo ai pescatori francesi? Attacchiamo sul vino o sull’high tech? Colpiamo Apple o Coca Cola? Che facciamo con Piaggio, la proteggiamo o la molliamo? A chi tocca tocca, indipendentemente dalla qualità dei prodotti, dal gradimento dei consumatori, dal prezzo.

L’economia che diventa appendice della politica estera: sopravvive - finché dura - solo il settore che riesce a fare più pressioni al ministero o l’impresa multinazionale con più amicizie nelle cancellerie di mezzo mondo. Non vi piacciono i lobbisti che influenzano i decisori pubblici? Ne avrete cento, mille volte di più.

Come poi un mondo del genere potrebbe risultare ospitale per le imprese italiane, tendenzialmente medio-piccole e vocate all’export, resta un mistero che Salvini, Grillo e gli altri supporter di questo tipo di economia di pre-guerra si guardano bene dal provare a illustrare. Immaginate di avere una piccola impresa che produce ed esporta con successo accessori di moda, o componenti industriali, o una cantina che vende vini apprezzati nel mondo, e immaginate di dover sopravvivere su simili montagne russe. In bocca al lupo.

Immaginate di dover spiegare stasera ai vostri dipendenti che domani si chiude, si va a casa, anche se l’azienda era un’azienda di successo, ma i vostri sbocchi commerciali si sono chiusi perché quest’anno il vostro settore non era abbastanza strategico, ed è stato sacrificato a vantaggio di un altro, magari più patriottico e funzionale a interessi superiori. Chiedete a Salvini di venirglielo a spiegare, lui che oggi applaude Trump “che fa bene il suo lavoro” mentre noi non sapremmo fare i nostri interessi.

Quali “nostri” interessi? Quelli di consumatori, con il nostro diritto di scegliere il prodotto migliore al prezzo migliore? O quelli di produttori (nel caso, specificare: per il mercato interno o esterno? E collocati in quale punto della catena del valore)? O quelli di lavoratori, e nel caso di quale settore produttivo? Di quale impresa? Quali sono gli interessi che un Salvini o un Di Battista privilegerebbero volta per volta in questo fantastico mondo, e quale sarebbe il loro metro di valutazione e di selezione?

A Salvini probabilmente neanche interessa: parla come un capo ultrà che difende il diritto alla violenza degli ultrà delle squadre avversarie per ottenere a sua volta il diritto di menare le mani, e non importa se poi lo spettacolo della partita sarà rovinato, e nemmeno quale sarà il risultato: l’unica cosa che conta è poter mostrare le cicatrici degli scontri agli amici al bar, magari cantando una canzone sui napoletani.

Avere spostato le tensioni commerciali, che pure hanno sempre continuato ad agire, su una dimensione Europea, e averli inseriti in un quadro regolatorio sovranazionale è stata probabilmente la più grande conquista del dopoguerra: il disarmo commerciale delle cancellerie nazionali prima ancora del disarmo vero e proprio. Ci sarebbe da riflettere - e senz’altro nei mesi e negli anni che verranno, se queste sono le premesse, non mancherà l’occasione di farlo - a proposito della  retorica stantìa ma penetrante di questi decenni sulla politica che dovrebbe riconquistare il primato sull’economia, in nome del bene comune. Eccolo, il primato della politica sull’economia: cosa mai potrebbe andare storto?

@giordanomasini