Stagnaro container

Trump è uomo di parola e di politiche spicce. Solo pochi mesi dall’insediamento e già arriva l’annunciata guerra commerciale fatta di dazi, ritorsioni e protezionismo.

A farne le spese soprattutto l’Europa, ormai nemico dichiarato della nuova amministrazione statunitense.

I produttori di carne americani hanno le loro buone ragioni, per carità. Tutto nasce dal divieto opposto dall’Europa all’ingresso di carne americana trattata con ormoni sin dal 1989. Nel 1997 la WTO sancì che tale divieto violava gli accordi internazionali. Siccome l’Europa non ritirò il bando, a partire dal 1999 gli USA inasprirono i dazi per ritorsione. Un decennio dopo, nel 2009, Obama trovò un accordo con la UE: gli USA avrebbero abbassato i dazi e l’UE avrebbe aperto un canale preferenziale per la carne americana non trattata con ormoni. L’accordo avrebbe poi dovuto essere recepito nel TTIP. Sfumato il trattato transatlantico e considerato il non soddisfacente adempimento da parte della UE all’accordo, negli ultimissimi giorni di presidenza l’amministrazione Obama ha indetto una pubblica audizione di esperti ed economisti al fine di valutare se reintrodurre o meno i precedenti dazi punitivi.

L’approccio di Trump, però, è ben diverso. Trump intende sfruttare le istanze della lobby dei produttori di carne per riequilibrare una bilancia commerciale che vede gli USA in netto svantaggio. Le ritorsioni rispetto agli inadempimenti UE c’entrano fino ad un certo punto. In ballo c’è il tentativo di recuperare competitività. Se lo fai con i dazi, però, ti esponi a tua volta a ritorsioni.

Il fronte sovranista, che fino a ieri tifava Trump senza titubanze, va così incontro al suo primo serio disorientamento. Il portafogli dell’elettore chiede concreto ristoro dopo un decennio di crisi e la ragione inizia a pretendere risposte concrete dalla pancia. Su elementari considerazioni di logica ed economia comincia a cadere il primo castello di carte: forse i dazi e l’autarchia non hanno alcun potere salvifico. La filosofia del “bastare a se stessi” forse è solo questo, filosofia. Per giunta violenta, perché fondata sulla costrizione. Guai a sognare più in grande, guai ad esportare le proprie idee e la propria impresa. Qui produci e qui vendi. Qui nasci e qui muori. Stop. Fine. Firmato “la pubblica autorità”.

Le prese di posizione si fanno vaghe ed imbarazzate. Il re dei neo-statalisti di casa nostra dice: “vuol dire che Trump fa bene il suo lavoro”. Riposta geniale nella sua inconcludenza. La pancia del portafogli dell’elettore lì per lì si sente sazia e ringrazia, ma presto quel senso di soddisfazione a cui era abituata svanisce e rimane un senso di smarrimento. La ragione di quello stesso portafogli comincia a risvegliarsi e a fare domande. Il re dei neo statalisti capisce ed è costretto a deviare l’attenzione di nuovo sull’immigrazione. Piccole strategie di marketing per politici piccoli.

Se Trump mette dazi sui prodotti italiani, l’italianità non ne riceve un danno? Come funziona, allora, la storia del protezionismo, dell’autarchia, della sovranità? Elementari considerazioni di logica ed economia, dicevamo. Non è che poi si ritorcerà tutto contro l’industria italiana? E se la mia fabbrica fosse costretta a dislocare la produzione negli Stati Uniti per evitare i dazi? Così perdo il lavoro anch’io, altro che sovranità.

L’Italia ha sessanta milioni di abitanti, gli USA sono quasi sei volte tanto. La mia impresa dovrebbe accontentarsi di un mercato che è sei volte più piccolo? Che senso ha? Poi finalmente la ragione del portafogli apre gli occhi e, destandosi di nuovo guardinga, la prima cosa che dice è: la dimensione del mercato di sbocco conta.

L’Unione Europea ha 500 milioni di abitanti. Se il mondo si chiude opponendo protezionismo a protezionismo, ci rimane solo il mercato unico europeo, la più grande e ricca area economica del mondo. Contro i dazi di Trump, solo il mercato unico europeo può salvare l’Italia. Contro i dazi di Trump, più Europa.

Il pensiero sovranista diventa improvvisamente vecchio di cent’anni. Sia benedetto Trump.