taranto senza ilva grande 

Qualcuno si è preso la briga di definire ‘’storica’’ la sentenza di primo grado della Corte di Assise di Taranto sul caso ex Ilva. Possiamo essere d’accordo: basta solo riconoscere che la storia è fatta anche di misfatti, di ingiustizie; e che di solito a scriverla sono i vincitori, sul carro dei quali si accalcano per salirvi tutti. “La sicurezza viene prima del profitto'’, ha tuonano Maurizio Landini con una sicumera, destinata anch’essa a divenire storica, in una intervista alla Stampa, perché non si è mai visto un dirigente sindacale assistere impotente e partecipe all’assassinio di uno stabilimento e di un gruppo siderurgico.

"Noi della Cgil ci siamo costituiti parte civile di questo processo, abbiamo sempre pensato che la sicurezza dei lavoratori e dei cittadini venga prima del profitto e del mercato. E abbiamo sempre denunciato ciò che l'azienda dei Riva non aveva fatto, le responsabilità su troppi ritardi e furbizie". "Al di là della sentenza - ha poi aggiunto - ora è importante accelerare tutti gli investimenti, per far sì che la nuova azienda, con la presenza dello Stato, sia in grado di produrre acciaio rispettando salute e ambiente". È un réfrain – quello della prevaricazione del profitto – che da tempo viene suonato in tutte le musiche, nonostante Franco Debenedetti nel suo ultimo libro (‘’Fare profitto’’) abbia cercato di spiegare che l’altra faccia della medaglia del profitto si chiama lavoro, occupazione, benessere e sicurezza.

L’irruzione del Covid-19 ha cambiato il quadro delle priorità delle persone, che hanno accettato limitazioni delle loro libertà e della loro attività di lavoro. Ma un conto è dover affrontare le conseguenze di una pandemia, un altro misurarsi con le problematiche poste dalla gestione di un’acciaieria, la più grande d’Europa, la garante dell’economia di un intero territorio: un’azienda che quando, nel 2012, venne investita dal ciclone giudiziario era stata risanata rispetto alla precedente gestione pubblica (lo rammentino i nostalgici dell’intervento dello Stato nell’economia). Quando nel 1995 la famiglia Riva viene invitata ad acquistare l’ex Ilva, lo stabilimento perdeva 4 miliardi l’anno. La nuova proprietà dal 1995 al 2012 ha effettuato investimenti per 4,5 miliardi di euro di cui 1,2 per misure di carattere ambientale. Queste operazioni non sono frutto della propaganda della Spectre del profitto, ma di una sentenza del 2019 del Tribunale di Milano, confermato in appello, nel procedimento per il reato di bancarotta fraudolenta. Nessuno è mai stato in grado di provare che l’ex Ilva abbia violato le leggi all’epoca vigenti.

Perché il punto è proprio questo. Le tecnologie di produzione industriale nella UE sono stabilite sulla base degli obiettivi di protezione della salute identificati a livello europeo d’accordo con l’Organizzazione mondiale della sanità. Ma, nello stabilire questi parametri, gli obiettivi di risanamento ambientale non possono non essere compatibili con altre esigenze riguardanti i diversi settori produttivi, come i problemi di ammortamento degli impianti, di risorse da investire, di coordinamento tra i diversi Paesi. Soprattutto, i sistemi produttivi hanno necessità di avere dei riferimenti precisi ai quali attenersi per essere considerati in regola; riferimenti che tengono conto delle altre esigenze. Per comprendere questo fondamentale concetto, messo in discussione a Taranto, basta ricordare che l’industria automobilistica europea è stata obbligata, in circa 40 anni, a cambiare drasticamente le tecnologie motoristiche, al pari dell’industria di raffinazione per quanto riguarda i combustibili, con l’obiettivo di tutelare l’ambiente e la salute.

Ma il cambiamento è proceduto per gradi con l’adozione e l’adeguamento a regole uniformi che divenivano di volta in volta non l’indicatore di una sicurezza assoluta, ma uno standard sostenibile e progressivo a cui attenersi in un quadro di certezza del diritto, perché le imprese devono sapere come regolarsi – nel produrre e nell’investire - senza essere vittime di una procura che di punto in bianco, con criteri del tutto discrezionali, chiede ad un’acciaieria di adottare tecnologie cervellotiche, a cui non sono tenute le aziende concorrenti e che appartengono ancora al novero delle buone intenzioni.

La Corte d’Assise di Taranto si è rifiutata di accettare questa logica. Il pm lo ha detto esplicitamente: ‘’Ma come facciamo a rispondere alla mamma che ha perso il bambino che i limiti erano in regola?’’. Sono proprio le condanne inflitte, tra i 47 imputati tra cui il fratelli Riva, all’ex governatore della Puglia e al prof. Giorgio Assennato, ex direttore dell’Agenzia regionale dell’ambiente a rendere palese l’arbitrio che ha sorretto le indagini e la sentenza della Corte. Nichi Vendola, condannato a 3 anni e 6 mesi di reclusione, avrebbe concusso in modo implicito il prof. Assennato perché moderasse la valutazione di impatto ambientale dello stabilimento; ma anche il direttore è stato condannato a 2 anni per favoreggiamento, perché ha negato di aver ricevuto delle minacce da Vendola. Come ha scritto Anna Digiorgio in un’accurata ricostruzione del caso ex Ilva, su Il Foglio, è la logica del profitto che per l’accusa è divenuta ‘’allo stesso temporeo, movente, arma del delitto e reato’’.

Ma la verità di questi nove anni di calvario è che la magistratura tarantina non si è limitata ad esigere misure di risanamento più importanti e in tempi più rapidi. No. Ha impedito che si procedesse in questa direzione e si trovassero delle soluzioni; è intervenuta senza scrupoli per far saltare ogni programma di risanamento (con l’aiuto delle istituzioni locali e del M5S). C’è stato persino un momento in cui ad Arcelor Mittal venne ordinato da due tribunali diversi di spegnere e contemporaneamente di lasciare in funzione l’altoforno più importante dello stabilimento. In sostanza, di rispondere penalmente sia della continuità del funzionamento che della chiusura degli impianti.

Ora, dopo il commissariamento/esproprio del 2012, siamo arrivati alla confisca degli impianti. Come possa Landini scambiare un funerale per una festa, vorremmo che ce lo spiegasse.