In difesa del consumismo
Istituzioni ed economia
Durante il suo ultimo Angelus Papa Francesco ha detto che «il consumismo ci ha sequestrato il Natale», proprio nell'anno in cui la forte contrazione dei consumi ha messo tantissime piccole e medie imprese sulla via di una crisi di solvibilità “di massa” (Mario Draghi dixit, intervistato da Federico Fubini, avanzando contestualmente ipotesi radicali come la formazione di bad bank che acquistino i crediti deteriorati).
Non ha potuto che ottenere l’approvazione entusiasta di “decrescitisti” assortiti (sia detto en passant che tutti i teorici della decrescita si sono sempre premurati di qualificarla positivamente, “serena”, “felice”… chissà come mai), categoria che giusto quest'anno era ragionevole sperare avesse taciuto.
Ma più che retorica anticonsumistica o peggio decrescitista, quello di Papa Francesco è un richiamo al solidarismo cattolico, che come ci ha insegnato Manzoni nel cap. XII de I Promessi sposi – dove l'autore si fa peraltro beffa del semplicismo dirigista del Governatore Ferrer – può coesistere con la fiducia nei benefici di un capitalismo concorrenziale e liberoscambista e, appunto, illuminato di una sensibilità sociale cristiana.
Il no al consumismo proclamato ex cathedra dal Papa non va dunque inteso come stop ai consumi, ma come invito a destinarne una parte o un sovrappiù ai meno abbienti, magari ai “non garantiti”, anziché a sé stessi o ad amici che non versano in condizioni di disagio.
Eppure va per la maggiore una lettura “baumaniana” della consueta corsa ai consumi dicembrina, la retorica contro i centri commerciali cattedrali del consumo, la stigmatizzazione della noia spirituale e dell'apatia politica e del nichilismo del cittadino-consumatore ecc. Fa eco a tutto ciò, sul versante opposto, il pauperismo anticapitalista di un cattolicesimo ipocrita e reazionario (e pensare che proprio le grandi tenute monastiche alto-medievali furono la culla di un proto-capitalismo meglio realizzatosi, nei secoli successivi, nelle prime città-stato italiane… poi la controriforma ri-criminalizzò il commercio e la ricchezza spianando la strada all'interpretazione weberiana dello “spirito del capitalismo”). La sociologia del consumo di massa si è dal canto suo incaricata di smentire la “fallacia produttivista”, e cioè la convinzione che la dimensione della produzione giganteggi su quella del consumo, sottolineando come ben lungi dall'americanizzare/mcdonaldizzare le realtà locali, il consumo di massa ha finito per rivitalizzare le tradizioni (basti pensare al boom della cucina etnica), ben lungi dall'innescare la spersonalizzazione quando non perfino la disumanizzazione dell'individuo, quest'ultimo tende piuttosto a personalizzare merci standardizzate.
Peraltro giusto la Chiesa “post-medievale” sembra essere il paradigma di quel consumismo castale tipico dei sistemi statici e non-democratici, dove il sovra-consumo è appunto appannaggio di pochi eletti (alto clero, per restare al nostro esempio, nobiltà “laica”, sceicchi strapieni di petrodollari ecc) e non innesca effetti keynesiani di sorta perché frutto di lavoro sottopagato quando non propriamente schiavistico o quasi-schiavistico.
Ecco, quand'è che il pensiero prevalente – altro che “pensiero unico neoliberista”, come ripetono continuamente taluni – si è “de-keynesizzato” per ritornare al post-marxismo francofortese o, a seconda dei punti di vista, al reazionarismo del cattolicesimo controriformista?
L'unico keynesismo che si porta è quello scientemente adulterato dall’assolutizzazione abusiva della più celebre massima dell'economista inglese, «nel lungo periodo saremo tutti morti», formulata a ragione in risposta ai paleo-liberisti che individuavano nella mano invisibile la panacea di tutti i mali e cioè di tutte le distorsioni del mercato ma venduta, oggi, come legittimazione teorico-ideologica dello "spendaccionismo" di Stato assistenzialistico o para-assistenzialistico, complementare alla minimizzazione quando non perfino negazione della “fedeltà al contratto”, dei doveri del debitore nei confronti del creditore (in quest’ottica, il debito pubblico è carta straccia o poco più, quindi, assieme alla fedeltà al contratto viene negata anche l'equità intergenerazionale).
Giusto questo keynesismo tossico, fatto proprio sia dai nazionalpopulisti sia dai socialdemocratici à la Tsipras, andrebbe respinto in quanto autostrada verso la miseria, per tornare a quello “originario” del sostegno pubblico alla domanda aggregata – e cioè… ai consumi! – non permanentemente ma quando sottoconsumo e disoccupazione coesistono.
Proprio per questi motivi la transizione, fordista prima ancora che keynesiana, dal capitalismo d'accumulazione (strutturalmente anticonsumista! La ricchezza da “pluslavoro”, se vogliamo dirla marxianamente, andava re-investita fino a far giganteggiare l'impresa, creare grandi concentrazioni… Schumpeter parlò a tal proposito di “capitalismo trustificato”) al capitalismo consumistico dovrebbe essere vista di buon occhio anzitutto “da sinistra”, ma anche, volendo, “da destra”, nell’ottica di quello che Luigi Einaudi definì, lodandolo pur da convinto liberista, socialismo-sentimento – da opporsi al “socialismo scientifico” che per converso trascinò milioni di persone nella miseria dei regimi di inflazione repressa tipici delle economie pianificate.
Proprio il capitalismo consumistico del sec. XX, infatti, ha consentito un innalzamento senza precedenti nella storia dell’umanità delle soglie di povertà relativa e assoluta, determinando nella nostra parte del mondo la “piccoloborghesizzazione” di massa dei lavoratori salariati. Il salario del contabile di Ebenezer Scrooge, il finanziere londinese protagonista/antagonista di Canto di Natale (già, proprio il capitalismo d'accumulazione diede vita ai mesti scenari dickensiani), era appunto un salario pre-fordista, di sussistenza, come misera era la vita dello stesso Scrooge: tutto era finalizzato alla limitazione diretta e indiretta dei consumi in funzione di una continua ri-capitalizzazione.
Mai, men che meno durante questo Natale, le imprese (e cioè, alla fine, il benessere di noi tutti) hanno bisogno dello Scrooge iper-parsimonioso, anticonsumista della vigilia di Natale, prima della nota “terapia d'urto onirica/paranormale”; abbiamo piuttosto bisogno dello Scrooge che, redento, elargisce denaro e concede aumenti. Non ce lo chiedono tre fantasmi: ce lo chiedono Papa Francesco e Mario Draghi.