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 «Primum vivere, deinde philosophari» (prima si pensi a vivere, poi a fare della filosofia): se il diritto alla salute sta giganteggiando su tutti gli altri è in virtù della gravità della minaccia alla – appunto – salute di tutti i cittadini, che ovviamente è un a priori rispetto al sistema produttivo e, nella corretta misura, rispetto ai pilastri dello Stato di diritto. Ma qualunque riflessione "extra-sanitaria" non può essere liquidata come dissertazione sui massimi sistemi. Bisogna anzitutto saper prendere le distanze da una narrazione eccessivamente colpevolizzante la società civile (che, dati alla mano, sta perlopiù obbedendo) e, specularmente, dalla totale de-responsabilizzazione (e finanche mitizzazione!) della società politica – o, meglio, dei vertici politico-amministrativi dello Stato, dal presidente del consiglio dei ministri ai sindaci, passando per i "governatori". Il tutto mentre i militari presidiano le strade e fonti di rango secondario comprimono le libertà costituzionali in una misura mai sperimentata nella storia della Repubblica, a Parlamento (clamorosamente) chiuso.

Questa narrazione, non per forza eterodiretta ma più probabilmente frutto inintenzionale dello stato di fibrillazione nel quale tutti ci troviamo, ha centrato il suo obbiettivo: runner, neo-runner e ciclisti sono stati petulanti e talvolta irresponsabili, ma non bisogna criminalizzarli facendone il paravento di una governance che va sì sostenuta, vista l'emergenza, ma che tale emergenza la sta gestendo malissimo e comunicando peggio. Se nel quotidiano bollettino di guerra delle 18:00 – coi dati sciorinati "roboticamente", senza puntuali precisazioni circa i criteri con cui vengono raccolti e selezionati e su come debbano essere interpretati – tardiamo a leggere la tanto attesa inversione del trend, non è certo colpa dei podisti-untori che si ostinano a correre, o lo è in termini infinitesimali: è la diretta conseguenza tanto dell'eccezionalità della situazione che, inevitabilmente, ha colto tutti impreparati, quanto di una gestione se non dilettantistica comunque incerta, disorganica e più prosaicamente "pasticciona" dell'emergenza.

Non si può criticare Conte, o quantomeno non del tutto, per il gradualismo col quale è intervenuto: se imposti traumaticamente, provvedimenti draconiani quali quelli presi nelle scorse settimane potrebbero avere un basso "coefficiente di effettività" e, quel che più rileva, la nostra forma di governo non consente al presidente del consiglio dei ministri di prendere immediatamente le leve di comando – tant'è che diversi governatori regionali, che a differenza sua godono di una legittimazione diretta, gli hanno resistito e gli stanno resistendo. Ma le bozze trapelate, i grandi esodi verso il sud così innescati, gli annunci notturni tardivi e incompleti su una piattaforma privata… tutto questo e molto altro lascia sgomenti.

Come se non bastasse, ci si è tutti invaghiti del "modello Pechino", che è esattamente il modello anti-democratico – e dunque non trasparente e non pluralista – a causa del quale l'epidemia è degenerata in pandemia, salvo poi salvare la faccia (la Cina) attivando l'apparato propagandistico di Stato e inducendo fra le altre cose migliaia di cittadini creduloni a cascare nella bufala delle mascherine e dei respiratori "regalati". Oltretutto, se il "modello Pechino" sembra aver funzionato (i dati provenienti dalla Cina vanno sempre presi con le pinze), non è tanto e solo merito dei metodi da Gestapo che, da quelle parti, le autorità di pubblica sicurezza sono solite utilizzare anche in situazioni ordinarie, quanto piuttosto perché blindare e azzerare la produzione di una sola regione, per quanto densamente iper-popolata, è fattibile se e solo se il sistema produttivo del resto del Paese continua a funzionare – e soprattutto se l'apparato repressivo dello Stato può permettersi, giuridicamente e logisticamente, i costi sociali che tali misure comportano e che a noi rimarranno ignoti (è stato garantito un livello di sussistenza minima a ogni singola famiglia di Wuhan?).

Ad ogni modo, sia detto senza l'intenzione di fare parallelismi inopportuni, anche nelle democrazie liberali le autorità di pubblica sicurezza (in qualunque livello della gerarchia), alcune autorità politiche (i sindaci più decisionisti sembrano essere in estasi…) nonché, va da sé, l'esercito (specie ai suoi vertici) spesso e volentieri guardano la realtà attraverso la lente deformante di quella "efficienza funzionale" cui tendono esercitando le loro attività o della disciplina militaristico-repressivista che hanno interiorizzato per ragioni professionali, e sono perciò diffidenti verso qualunque "modello" non strutturato gerarchicamente (non sono modelli "efficienti", per l'appunto…): esprimere loro gratitudine per lo stacanovismo e la temerarietà con cui stanno affrontando l'emergenza è doveroso, ma è altrettanto doveroso – in autotutela – ridimensionare l'entusiasmo con il quale ci siamo involuti in delatori e supporter di sindaci-sceriffi, immettendo nel mercato socio-politico una domanda di repressione e "marzializzazione" che di questo passo prima o poi potrebbe rischiare di essere capitalizzata, anche solo parzialmente.

Nel novero dei diritti a rischio durante questo mal gestito stato d'eccezione non si può non citare il diritto alla privacy: l'ipotesi di seguire il modello sudcoreano e israeliano, cioè utilizzare la tracciabilità digitale per arginare i contagi, autorizzando il governo ad accedere ai dati che immettiamo nell'etere tramite i nostri smartphone, rappresenterebbe una pesantissima compressione – se non il totale annichilimento – del diritto alla privacy a vantaggio del diritto alla salute (diritto in nome del quale, peraltro, nel futuro prossimo verranno nel bene e nel male legittimate e istituzionalizzate misure invasive e "protocolli straordinari" di vario tipo, nella stessa misura in cui la domanda di sicurezza post-11 Settembre legittimò un primo significativo ridimensionamento del diritto alla privacy).

Ciò detto, la confusa ma pesantissima verticalizzazione dei poteri cui stiamo già assistendo in questi giorni è tanto più grave quanto più strumentale e perlopiù propagandistica si sta dimostrando la risposta dei leader dell'opposizione: ci vorrebbe un "contropotere parlamentare" che faccia il suo mestiere pur collaborando lealmente, ma si stanno rivelando inesistenti o comunque inconsistenti tanto l'opposizione quanto la leale collaborazione della stessa con la maggioranza, al netto della moral suasion di Mattarella che ha se non altro neutralizzato il rischio di nefasti scontri frontali.
Stando all'Italia, per concludere, occorre ricordare che la nostra Costituzione non disciplina lo stato di eccezione: le prassi di questi giorni potranno essere, un domani, il grimaldello per l'imposizione di misure restrittive e repressiviste, chissà se e quanto necessarie. Stiamo dunque vivendo una fase a suo modo "neo-costituente": sarebbe l'ora di smettere i panni di cittadini-delatori in fregola per un novello Churchill che in realtà non è tale, per i sindaci-sceriffi e più generalmente per le maniere forti; sarebbe l'ora di indossare quelli di cittadini prudenti e responsabili, "ubbidienti" ma sempre all'erta.