Un bel giorno per l’Europa, non per l’Italia. Purtroppo la ricreazione non è finita
Istituzioni ed economia
Quando quest’oggi, alle sei di mattina, Conte ha comunicato come un grande successo nazionale il fatto che all’Italia toccheranno più di un euro su quattro dei nuovi fondi salva stati del Recovery Plan, da un certo punto di vista ha certificato l’irrimediabilità della situazione politica italiana e la persistente fortuna di un paradigma “narrativo”, capace di presentare ogni catastrofe, ogni errore, ogni colpa storica come un affronto del destino cinico e baro o – addirittura – come una conferma paradossale della virtù e del genio nazionale.
L’Italia prenderà complessivamente tra contributi e finanziamenti 209 miliardi, contro i 171 previsti dalla bozza della Commissione (confermati i contributi, aumentati di molto i crediti). Il che significa però che l’Italia non ha vinto il concorso di "paese modello", ma che è il più grande e più grosso malato d’Europa, un Paese che rischia di trascinare nel baratro l’Ue e prima ancora l’eurozona e necessita di una assistenza speciale. Il che significherebbe, soprattutto che l’Italia deve cambiare registro e direzione, non pretendere di proseguire allo stesso modo e sulla stessa strada, ma questo significato è indicibile e interdetto politicamente, anzi letteralmente “proibito” in un Paese, in cui l’attività patriottica per antonomasia è rompere tutti gli specchi, che rimandino un’immagine non distorta e debitamente aggiustata della nostra brutta faccia politica e economica.
È evidente che oggi è un bel giorno per l’Europa, che esce per l’ennesima volta migliore della somma delle sue parti, ed è anche un bel giorno per Conte. Non è un giorno diverso per l’Italia e questa non è una buona notizia. Abbiamo ottenuto quello che volevamo malgrado la resistenza – dal Mes a quota 100 – a fare i conti con le legittime richieste dei nostri creditori o anche semplicemente con il buon senso e con il principio di non contraddizione. Abbiamo portato a casa tutti i quattrini che speravamo di avere, senza avere neppure dovuto promettere di fare qualcosa di diverso da quello – e non è il Covid – che ci ha portato a elemosinare nuovi sostegni.
Conte e il M5S potranno continuare a dire che l’Italia è in ginocchio per colpa dell’Europa e delle politiche di “austerità” che questa volta abbiamo eroicamente neutralizzato, ma che i nostri nemici nell’ombra continueranno a usare nella loro congiura. Gli italiani, in base ai risultati di questo vertice, non saranno aiutati a capire, anzi ad accettare che la ricreazione è finita e che la solidarietà europea è, come quella nazionale e personale, un mix inscindibile di diritti e di doveri, l’altra faccia di un principio di responsabilità, cui non si può rispondere semplicemente biascicando i paternostri “federalisti”, per trarre la rendita di una eccezione nazionale.
È possibile che nelle technicalities dell’accordo – il superfreno voluto da Michel – ci siano vincoli più stringenti di quelli che oggi sembrano emergere e che affidano comunque a una negoziazione politica, più che a un sistema di regole, la valutazione della congruenza dei piani di riforma con gli obiettivi del Recovery Plan. L’impressione è che in quella sede l’Italia tornerà comunque a minacciare un suicidio-omicidio, un “muoia l’Italia con tutta l’Europa, il suo mercato e la sua moneta”, che era stato per un anno il refrain del governo gialloverde ed è diventato, come era ovvio (a proposito di discontinuità) anche quello del governo giallorosso.
Non è un caso che l’alleanza più salda del nostro esecutivo in questo fine settimana – a proposito di solidarietà europea – sia stata proprio con Orban, che rivendica la fuoriuscita da qualunque regola politica, civile e istituzionale europea e vuole – alla pari dell’Italia – semplicemente i soldi che ritiene che gli spettino, da parte di un’Europa che per lui politicamente non esiste.
Questo vertice poteva finire male, nella polemica contro le nuove “inique sanzioni” imposte dal mondo e dall’Europa alla povera Italia. È finito invece con (l'immagine di) un Conte quasi trionfante contro l’egoismo dei paesi del Nord. Non proprio un viatico per il cambiamento e per un uso razionale di quella barca di miliardi, che si rovesceranno sull’Italia e che oggi non sapremmo forse neppure come spendere, se non per rovesciarla nel pozzo senza fondo della nostra democrazia di scambio.