einaudi grande

Una maratona negoziale di oltre tre giorni, al di là degli aspetti o delle decisioni di merito, che devono ancora maturare nei tempi supplementari, ha riproposto il tema della centralità, anzi della preminenza della meno “europea” tra le istituzioni dell’Ue, cioè del Consiglio dei Capi di Stato e di Governo.

È bene valutarne il ruolo negativo a prescindere dal fatto che si giudichi o meno negativo il ruolo giocato in questa occasione, perché il Consiglio europeo esprime in sè il senso di un potere “prefettizio”, che snatura e “nazionalizza” le dinamiche delle istituzioni europee.

Risaliamo al 1961, quando a Parigi ha luogo la prima riunione tra i Capi Stato e di governo nazionali. Una seconda riunione ha luogo diversi anni dopo nel 1969, anno dal quale i vertici divengono più frequenti. Al vertice europeo di Parigi del febbraio 1974 il Presidente francese Valery Giscard d’Estaing ottiene (discretamente), in cambio del consenso della Francia all’elezione diretta del Parlamento europeo, che gli Stati disponessero di un organo di contrappeso (Olivi-Santaniello 2010, p. 87). Una sorta di “Prefetto” che, in luogo di avere per missione quella di contenere le intemperanze dei Sindaci, avesse il compito di frenare gli slanci costituenti del Parlamento direttamente eletto.

I Capi di Stato o di governo convengono pertanto di tenere regolarmente riunioni al vertice e di definirle, dal marzo 1975, «Consigli europei»: si tratta di avere un tavolo attorno al quale l’interesse nazionale degli Stati membri possa esplicarsi al massimo grado e livello. Lo scopo ufficialmente dichiarato è però quello di esaminare nel loro insieme i problemi di integrazione europea e garantire un adeguato coordinamento alle attività dell'Unione.

L'Atto unico (1986) include formalmente il Consiglio europeo nel dispositivo dei trattati comunitari, stabilendone la composizione e prevedendone due riunioni l'anno.

Ora poiché l’idea del Consiglio europeo è francese e le sue funzioni sono “prefettizie” lascio la penna a Luigi Einaudi.

Egli il 17 luglio 1944, con un articolo intitolato “Via il prefetto”, pubblicato in “L'Italia e il secondo risorgimento”, supplemento alla Gazzetta ticinese, e firmato con lo pseudonimo di Junius. Analizza la realtà accentratrice dello stato italiano, modellato (in versione corretta e peggiorata) su quello francese, e propone l'abolizione dei prefetti.

Immagino, interpretando liberamente che del Consiglio europeo nel 2009 (dopo il Trattato di Lisbona) avrebbe scritto più o meno così.

In verità, il prefetto è una lue che fu inoculata nel corpo politico italiano da Napoleone. (...) I governi europei nati dalla “liberazione dal nazifascismo” nel 1987 trovarono comodo di alterare l’equilibrio istituzionale europeo sovraordinando alla triade delle istituzioni originarie (Commissione, Parlamento e Consiglio dei Ministri) un’idra dalle 27 teste denominata, per meglio mimetizzarla, “Consiglio europeo”, chiamato a rinverdire i fasti del prefetto napoleonico.
Da allora nelle varie capitolazioni che si susseguono, a fronte dei progressi introdotti a favore delle regole liberaldemocratiche, il ruolo del Consiglio “europeo” viene, via via, di converso, senza grandi clamori, continuamente potenziato affinché, le riunioni dei Capi di Stato o di governo possano continuare ad esercitare un adeguato contrappeso al rafforzamento della democrazia liberale: con il trattato di Maastricht (1992), per esempio, se ne precisa il ruolo nel processo istituzionale. Sebbene il “Consiglio europeo” e il “Consiglio” rimangano due istituzioni distinte, il primo viene a far parte del «quadro istituzionale unico» dell'Unione (articolo 13) e nel 2009 (quando il trattato di Lisbona riconosce la codecisione Parlamento- Consiglio come procedura legislativa ordinaria), al Consiglio europeo, forse non per caso, viene consentito di adottare “decisioni” in modo totalmente indipendente dagli altri organi. Il Trattato di Lisbona, rende inoltre
il Consiglio europeo un'”istituzione” dell'UE a pieno titolo (articolo 13 del TUE). Fino ad allora non lo era. Intanto il suo ruolo è sempre meno quello di fornire un impulso politico generale. Il Trattato di Lisbona gli conferisce perfino alcuni poteri che consentono al Consiglio Europeo di agire come un organo decisionale in senso giuridico. I poteri decisionali di carattere istituzionale via via acquisiti divengono tali che è ora autorizzato ad adottare atti giuridicamente vincolanti, come tali, impugnabili dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea, anche nel caso in cui si tratti dell’astensione dal pronunciarsi (articolo 265 del TFUE). In particolare, previa approvazione del Parlamento europeo, l'articolo 7, paragrafo 2, del TUE conferisce al Consiglio europeo il potere di avviare la procedura per la sospensione di alcuni diritti di uno Stato membro, qualora sia constatata una violazione grave dei principi dell'Unione.
Inoltre il Consiglio Europeo ora propone a maggioranza qualificata al Parlamento la nomina del Presidente della Commissione europea.
Nella maggior parte dei casi infatti il suo processo decisionale non richiede né l'iniziativa della Commissione né la partecipazione del Parlamento europeo. La circostanza che le sue decisioni debbano, di norma, essere prese per consenso (unanimità) riduce (“fortunatamente” sotto un certo punto di vista) alquanto i rischi insiti dalle sue vaste possibilità di azione. Un legame organico con la Commissione, viene mantenuto in vita solo attraverso il riconoscimento al presidente di quest’ultima di un ruolo di membro “non votante” e permettendo, in taluni casi, all’alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza di partecipare ai lavori.
Per di più proprio dal 2009 (anno di entrata in vigore del Trattato di Lisbona), ma ufficialmente a seguito della crisi del debito sovrano, i governi nazionali, attraverso il Trattato internazionale (denominato «patto di bilancio») si sono riappropriati a favore di questo organismo dall’anima prefettizia ed a discapito del Parlamento Europeo delle competenze in materia di bilancio: ciò è avvenuto attraverso la previsione dell’approvazione del Quadro Finanziario Pluriennale (una sorta di meta-bilancio dalla durata non inferiore ad un quinquennio) che costringe il bilancio annuale (di competenza del Parlamento) in un letto di Procuste fissandone anticipatamente capisaldi che il PE non può modificare o eccedere.
Perciò non si capisce in ragione di quale legittimità politica al presidente del Consiglio europeo sia affidato il compito di assicurare la rappresentanza esterna dell'Unione per le questioni relative alla politica estera e di sicurezza comune, per quanto ecceda le competenze dell'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (ovvero quasi tutte le questioni più rilevanti di politica estera).
Il settore della PESC istituita col Trattato di Maastricht come uno dei pilastri dell'Unione e ampliata nella sua portata col Trattato di Amsterdam è comunque quello nel quale l’ azione del Consiglio è più extra ordine rispetto alle altre istituzioni. Compete infatti solo al Consiglio europeo la “decisione” (quindi un atto giuridico vincolante) di passare ad una difesa comune (PESD), quando “la definizione di una politica di difesa sia sufficientemente avanzata”.
La democrazia comincia dal comune, che è cosa dei cittadini, i quali non solo eleggono i loro consiglieri e sindaci o presidenti o borgomastri, ma da sé, senza intervento e tutela e comando di gente posta extra ordine, se lo amministrano, se lo mandano in malora o lo fanno prosperare.
La nuova Unione europea, preoccupata di rinsaldare le membra disiecta degli antichi immaginò che il federalismo fosse il nemico ed estese il sistema della supervisione tipica del sistema prefettizio napoleonico anche a quelle parti d'Europa nelle quali la lue erasi infiltrata con manifestazioni attenuate. Si credette di instaurare libertà e democrazia e si foggiò uno strumento tipico della dittatura.
Democrazia e Consiglio europeo repugnano profondamente l'una all'altro. Coloro i quali parlano di democrazia e di costituente e di volontà popolare e di autodecisione e non si accorgono del Consiglio dei Capi di Stato o di governo, non sanno quel che si dicono. Elezioni, libertà di scelta, democrazia e Consiglio dei Capi di Stato e di Governo nazionali sono gli uni agli antipodi dell'altro.
Dove non esiste il governo di se stessi e delle cose proprie, in che consiste la democrazia? Non si tema che i malversatori del denaro pubblico non paghino il fio, quando non possano scaricare su altri, sulla autorità tutoria, sul Consiglio dei Capi di Stato o di governo nazionali la colpa delle proprie malefatte. La classe politica si forma così : col provare e riprovare, attraverso a fallimenti ed a successi. Sia che si conservi lo Stato nazionale; sia che invece lo si abolisca, perché ente artificioso, antistorico ed anti-economico. Si potrà discutere sui compiti da attribuire a questo o quell'altro ente sovrano; ed adopero a bella posta la parola sovranità e non autonomia, ad indicare che non solo nel campo internazionale, con la creazione di vincoli federativi, ma anche nel campo nazionale, con la creazione di corpi locali vivi di vita propria originaria non derivata dall'alto, urge distruggere l'idea funesta della sovranità assoluta dello stato. Non temasi dalla sua distruzione alcun danno per l'unità nazionale. L'accentramento napoleonico ha fatto le sue prove e queste sono state negative: una burocrazia pronta ad ubbidire ad ogni padrone, non radicata nel luogo, indifferente alle sorti degli amministrati; un ceto politico oggetto di dispregio, abbassato a cursore di anticamere prefettizie e ministeriali, prono a votare in favore di qualunque governo, se il voto poteva giovare ad accaparrare il favore della burocrazia poliziesca ed a premere sulle autorità locali nel giorno delle elezioni generali; una polizia, non collegata, come dovrebbe, esclusivamente con la magistratura inquirente e giudicante e con i carabinieri, ma divenuta strumento di inquisizione politica e di giustizia «economica», ossia arbitraria.
Finché esisterà in Europa il Consiglio europeo, la deliberazione e l'attuazione delle decisioni in materia di imposte e di spese non spetteranno a rappresentanti popolari eletti deputati al Parlamento; ma, ai ministri del tesoro degli ex Stati nazionali. Costoro sono i veri padroni della vita amministrativa e politica dell'intera Unione. Attraverso i funzionari dei Ministeri del tesoro nazionali distaccati a Bruxelles, il Consiglio europeo approva o non approva il bilancio pluriennale dell’Unione, ordina l'iscrizione di spese di cui i cittadini farebbero a meno, cancella altre spese, ritarda l'approvazione ed intralcia in definitiva il funzionamento dei corpi elettivi europei.
La classe politica non si forma se qualcuno ha il potere di dare all’eletto ordini o di annullare il suo operato, il magistrato locale non è responsabile e non impara ad amministrare. Impara ad ubbidire, intrigare, a raccomandare, a cercare appoggi. Dove non esiste il governo di se stessi e delle cose proprie, in che consiste la democrazia?
L'amministrazione ricalcata sul modello napoleonico ha dimostrato di essere il nulla. L'Unione europea non si rinviene nel Consiglio dei Capi di Stato o di governo nazionali cosi come la coesione degli stati nazionali non era ai tempi di Napoleone assicurata dai prefetti, dai provveditori agli studi, dagli intendenti di finanza, dai segretari comunali (nominati dal ministero dell’Interno) e dalle sue circolari. L'unità del continente è fatta dagli europei. Dagli europei, dai quali ci si attende che imparino, a proprie spese, commettendo spropositi, a governarsi da sé. Chi vuole che gli europei governino se stessi, dia agli eletti europei il potere di legiferare liberamente in tema di bilancio; di far bene e farsi rinnovare il mandato, di far male e farsi lapidare.
Perciò il "delenda Carthago" della democrazia liberale europea è : Via il Consiglio europeo! Via con tutti i suoi uffici e le sue dipendenze e le sue ramificazioni! Il Consiglio europeo con le sue ascendenze napoleoniche se ne deve andare, con le radici, il tronco, i rami e le fronde.