Conte corazziere grande1

La storia politica del populismo grillino ha preso corso, si è sviluppata e sta compiendosi secondo la tradizione inesausta del solito fascismo italico: classi dirigenti perlopiù interessate alla manutenzione della propria irresponsabilità e un sistema dell’informazione eternamente impegnato a garantirla hanno prescelto la piazza sediziosa del vaffanculo e l’hanno opposta al marciume della politica corrotta spiegando che il destino di un’Italia più onesta ben giustificava che si chiudesse un occhio su certe inadeguatezze dopotutto innocue dell’analfabetismo issato al potere.

In quella rappresentazione, i dubbi sulla decenza politica e civile di quella schiatta malvissuta si limitavano al sorrisino davanti al congiuntivo sbagliato e si sfogavano tutt’al più nella gag dell’imitatore: ma non si comprendeva, o si faceva finta di non comprendere, quale fosse la natura fondativa e originaria di quella rivendicazione di potere, un vago complesso reazionario fatto di onestà da riaffermare nell’insulto al sistema della democrazia rappresentativa, nel trionfo della soluzione penalista, nell’elevazione a criterio di governo del neoscientismo trash che avrebbe regalato a tutti villette in 3d abitate da cittadini finalmente liberati dall’obbligo dei vaccini.

Una medesima accondiscendenza e la stessa ipocrita legittimazione erano rivolte in favore dell’altro fronte populista, quello della nuova Lega di Salvini, il cui rutto razzista era criticabile in quanto rutto, non in quanto razzista, di modo che sulla prima pagina del più importante quotidiano d’Italia stavano insieme la denuncia perbenista contro la ruspa promessa alla “zingaraccia” e il titolo in aroma di Ku Klux Klan sul bravo capotreno che le canta agli “africani” beccati senza biglietto.

Ora quel potere, riassunto nella figura di un presidente del Consiglio per due volte incaricato da esigenze provvidenziali, trova meno favore presso gli ambienti che lo hanno accreditato: e infatti, in modo esemplare, l’avvocato del popolo è chiamato a rendere conto del proprio operato davanti a un magistrato nel concomitante fiorire degli editoriali che cominciano a fargli le pulci scoprendo, ora, ciò che quell’improbabile governante è sempre stato e ha sempre promesso di essere. E denunciando, ora, il frutto tutt’altro che imprevisto di politiche in campo economico, di giustizia, di rapporti internazionali e di ordine pubblico abbondantemente dovute all’inseminazione culturale che ha nobilitato l’alternativa della legislazione su base sondaggistica col patrocinio della magistratura televisiva finalmente soddisfatta davanti a un’azione di governo ottemperante.

In modo perfettamente libero, durante il periodo che ha portato all’affermazione politica del movimento di Grillo e della “nuova” Lega, la stampa ha lavorato alla legittimazione anche culturale dei rappresentanti di quelle identiche propensioni autoritarie, buone per essere prese in giro al primo strafalcione o giudiziosamente redarguite per qualche ineleganza discriminatoria, ma in ogni caso da contrapporre all’infamia della corruzione altrui in faccia ai buoni cittadini che giustamente invocavano cambiamento.

Che è esattamente quanto fece la cosiddetta stampa libera raccontando il medesimo Paese onesto che non ne poteva più “della politica” e si adunava sotto i balconi delle Procure chiedendo che i magistrati facessero sognare la brava gente con le mani pulite.
Il prosieguo inevitabile è ritratto nella fotografia istituzionale e civile del Paese sgovernato nell’assembramento nel villone romano e nell’irrilevanza ammutolita di un parlamento mandato in desuetudine, con la politica nazionale che prova a capire che cosa pensare di se stessa mentre un pubblico ministero bussa a Palazzo Chigi.

@iurimariaprado