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Mi aveva già perplesso l’offensiva contro il Primo Ministro, colpevole di aver chiamato “congiunto” il fratello, vittima di mafia, del Presidente della Repubblica, anziché con il suo nome di battesimo, Piersanti. Poi la settimana ci ha riservato altre autorevoli lezioni, e ve ne parlo.

Non credo di dover dire che su carisma e autonomia del premier ho le riserve del caso, non foss’altro per la cronaca delle vicende politiche che hanno condotto un profilo come quello di Conte a Palazzo Chigi. Ma proprio perché ho giustificabili riserve politiche, mi sembra opportuno porre il dibattito sull’operato di Conte in termini politici, senza aggrapparmi a rilievi superflui.

Bisogna guardare i fatti. Per quanto abbiano massicciamente votato partiti e uomini che fanno di violenza verbale, facile propaganda e delegittimazione morale dell’avversario il metodo primario di costruzione del consenso, il 4 marzo scorso gli Italiani hanno comunque dato un segnale circa le priorità che pongono all’attenzione della classe politica. Sostanzialmente due: protezione, dove si intende anche riparo da un contesto globalizzato del tutto misconosciuto (tanto per colpa della propaganda sovranista quanto per quella di chi, con superficialità in fondo non dissimile, non ha mai ritenuto di spiegarne bene i vantaggi) e sicurezza dalle minacce che quel medesimo contesto globalizzato porta con sé (migranti pericolosi, merci insicure, infrastrutture onerose ecc.).

La protezione e la sicurezza sono istanze politiche “naturali” a maggior ragione in un mondo, come quello occidentale, dove i processi economici e politici globali (a partire da quelli demografici) comportano un senso angoscioso di fragilità e di incertezza. Il fatto che non sia possibile rispondervi promettendo un ritorno a un'età dell’oro, che peraltro non è mai esistita, non significa che non si possa e debba rispondervi in altro modo, soprattutto concreto.

Mi chiedo quindi se l’elettore che ciondola tra bar e sale scommesse senza nemmeno la speranza di un lavoro, quello con figli e moglie a carico che il lavoro teme di perderlo, e che ogni giorno vede il bivacco di migranti sotto casa non capendo (con ragione) perché debbano star lì, se questo elettore magari anche incolto e populista possa ritenere che in mezzo ai casini e alle frustrazioni quotidiane l’uso del termine “congiunto” in luogo di un nome proprio debba considerarsi un fatto così grave e denso di significato.

Mi rispondo di no. E che al massimo si convincerà di aver fatto bene a mandare a casa un esercito di primi della classe ai suoi occhi inconcludenti e presuntuosi. Che non avendo saputo risolvere i problemi del paese (dal suo soggettivo punto di vista), di meglio non trovano oggi da fare se non pontificare sui limiti strutturali e culturali di quelli che si sono candidati a risolverli.

È proprio per queste ragioni, per quello che scrivo fin qui, che non mi ha affatto stupito l’analisi di tanti indignati osservatori circa la vicenda Aquarius e l’uso strumentale che ne ha fatto Salvini. Credo sfugga, ai più di loro, un fatto centrale e inedito: Salvini sta mantenendo una promessa, una precisa promessa. Fa esattamente quello che aveva garantito avrebbe fatto una volta al governo, diversamente da chi, prima di lui, ha tradito impegni altrettanto chiari.

Non comprendere quale valore possano avere una parola mantenuta e una fiducia ripagata in un momento storico di così forte precarietà, è davvero sorprendente. E non ho certo bisogno di essere richiamato all’ordine da chi mi butterà sul tavolo l’irresponsabilità di Salvini, il suo pericoloso ed estremo cinismo, perché li vedo benissimo da solo e ne ho infatti richiamata in premessa la strumentalità.

Si può e deve essere radicali oppositori della Lega, ma è un fatto che in un mondo in cui l’irresponsabilità è sdoganata più o meno ovunque, l’immagine di un capitano che tiene la barra dritta nella tempesta pur di non tradire un impegno è qualcosa che giocoforza ne consolida il gradimento. E poco importa se la tempesta aumenterà anziché placarsi. Poco importa se quella barra dritta sarà un boomerang, perché se chi deve opporsi e denunciare lo sgangherato piano del governo, se chi deve convincere gli Italiani a non seguire Salvini su una strada senza meta è a sua volta privo dell’autorevolezza necessaria a farlo, non ci sarà nessuna opposizione o denuncia che tenga.

E anzi, potrà solo essere peggio insistere con questa ossessione pedagogica - cara ad ampi pezzi del centrosinistra - di voler insegnare, di voler educare, di voler spiegare agli altri cosa sia o non sia giusto. Perché servirà ad allontanarli, se possibile, ancora di più. Dare l’idea di considerare gli elettori di Salvini e Di Maio un tutt’uno con Salvini e Di Maio e quindi politicamente altrettanto disprezzabili significa destituirli dello statuto di interlocutori, dimenticando una regola aurea della politica democratica: gli elettori che ti fanno perdere oggi sono (almeno in parte) quelli che ti fanno vincere domani. Degli 11 milioni di elettori che votarono per il PD nel 2014, ne sono mancati all’appello quasi la metà nel 2018, cioè più di 5 milioni, in grande maggioranza finendo fuori dalla coalizione di centro-sinistra. Non è una grande idea, in vista del futuro, dare l’idea di disprezzarli.

Soprattutto non è una grande idea fare battaglie di principio che questi elettori percepiscono estranee alla loro vita e ai loro sentimenti. Un giorno è il lancio di Balotelli capitano della Nazionale per promuovere l’integrazione (come se non fosse bastata la Kyenge ministro), il giorno dopo è il cazziatone a Conte per un pur sgradevole lapsus, infine è l’immancabile lezione di umanità generosamente offerta urbi et orbi, in nome della nostra in-dis-cu-ti-bi-le superiorità intellettuale. Nel complesso un esercizio di presunzione insopportabile, che finisce per peggiorare un quadro già abbastanza deprimente.

Occorre invece andare sul concreto, con l’umiltà che richiedono il ruolo e il momento, e trovare due, tre argomenti su cui costruire una realistica e comprensibile ipotesi di alternativa. I temi sono in parte noti, ma vanno sostenuti in modo convinto. Non si può continuare a parlare di Europa con imbarazzi, retromarce e distinguo. O è Si o è No, e visto che alla fine è Si vale la pena spiegare una volta per tutte - per strada, nei supermercati, non solo nei convegni fighetti - che l’Unione Europea conviene. E che conviene soprattutto a chi è socialmente più fragile ed esposto ai venti della crisi.

Lo stesso vale per le reti infrastrutturali, a partire dalla TAV che i 5Stelle vogliono fermare in nome di imposture che vanno smontate punto su punto. Perché se le grandi tratte commerciali internazionali passeranno a nord dell’Italia, tagliandoci fuori, il danno per la nostra economia sarà incalcolabile: e questo dobbiamo dirlo, ripeterlo in ogni sede, dal web alle piazze.

Poi ci sono altre proposte buone in cantiere, che meritano di essere promosse e sostenute. Niente di ideologico, ma cose semplici e sensate come ad esempio il salario minimo, che punta a trasformare paghe inadeguate in somme eque e dignitose. Una cosa assai diversa dal regalare un reddito di cittadinanza a chi non fa nulla. È un’idea che va spiegata bene, perché può convincere.

L’essenziale, e per niente banale, è che tutti capiscano quello di cui si parla, che si sentano coinvolti. Sarebbe un incoraggiante punto di partenza. Quello di arrivo, manco a dirlo, è che ciò che si promette poi venga effettivamente mantenuto. Non mi sfugge affatto che la populista ha fatto un salto di qualità, ha conquistato la maggioranza con proposte oggettivamente pericolose e suicide e lotta contro principi di diritto, che non sono affatto “politicamente corretti”, cioè conformisti, ma costitutivi della nostra civiltà giuridica. Ma a chi legittima il pregiudizio etnico o il nazionalismo economico non si può opporre l’ideale “diverso è bello” o “la globalizzazione è cool” e “chi non lo capisce è un somaro”.

La realtà è che in un paese alle corde, che arranca per tante ragioni diverse, l’unica cosa certa è che i primi della classe hanno rotto i coglioni. Non so come dirlo in altro modo ma neppure mi interessa cercarlo.